E il Cavaliere senza invito complicò il cerimoniale delle celebrazioni milanesi

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MILANO — Le richieste si sono intensificate nelle ultime settimane. Politici, candidati al Parlamento, candidati alla Regione Lombardia. In coda. Per esserci. Per ottenere un invito all’inaugurazione del Memoriale della Shoah di Milano. Per non mancare all’appuntamento. I dirigenti della Fondazione si riuniscono. Si ritrovano sul tavolo le domande. Le vagliano. Intuiscono il pericolo. Alla fine passa la linea che avevano stabilito dall’inizio, e che non è mai stata messa in dubbio: «La giornata ha un significato troppo profondo e non può in alcun modo trasformarsi in un appuntamento pre elettorale». Il criterio è limpido: si invitano esclusivamente i rappresentanti delle istituzioni. La direttiva (chiara, condivisa, necessaria per rispetto alla grave solennità  del momento) crolla alle 9 e 40 di ieri mattina: all’ingresso del Memoriale compare Silvio Berlusconi, accompagnato dal coordinatore lombardo del Pdl Mario Mantovani, seguito dai suoi uomini di scorta, circondato dal suo staff, e come ovvio da alcuni giornalisti. In tutto fanno quasi trenta persone, tante da riempire l’atrio. All’inizio della cerimonia mancano quarantacinque minuti e l’ex presidente del Consiglio pretende di visitare il museo. Così è andata in affanno l’organizzazione della giornata.
Ospite inatteso. Di certo ospite non invitato. In qualche modo, stando ai tempi, anche inopportuno: nel momento in cui Berlusconi arriva in Stazione Centrale, gli organizzatori stanno definendo gli ultimi dettagli del cerimoniale e gestendo i cambiamenti dell’ultima ora. Invece (e lo fanno con la massima attenzione e rispetto) devono dedicarsi all’ex premier. Che alla fine del suo giro, quando ancora la sala è mezza vuota, prende posto in prima fila, là  dove dovrebbe sedersi Mario Monti e un posto per lui non è previsto. Così le ragazze dell’organizzazione iniziano ad armeggiare con i cartellini sulle sedie per risistemare gli ospiti (all’ultimo secondo, una hostess scrive anche «Berlusconi» a penna su un cartoncino).
Il leader del Pdl non è l’unico ospite non previsto: nel corso della mattinata arriveranno anche Roberto Maroni, leader della Lega, e il suo sfidante per la presidenza della Lombardia, Gabriele Albertini. Tutti e due, come anche il segretario della Cgil Susanna Camusso, eviteranno le dichiarazioni e limiteranno la loro presenza cercando di mantenere un contegno simile a quello di un qualsiasi cittadino. Maroni ascolta gli interventi seduto in seconda fila, e solo per questo finisce nelle inquadrature di corriere.it che riprendono Berlusconi nei momenti in cui si assopisce, sonnecchia e si strofina una mano sugli occhi.
Tutto intorno, in platea ma soprattutto fuori, Milano si riunisce davanti al Memoriale della Shoah con una partecipazione inattesa. In via Ferrante Aporti, su un fianco della Stazione Centrale, i milanesi si mettono in coda in una mattinata gelida di cielo grigio. Le prescrizioni di sicurezza permettono una presenza massima di cinquecento persone all’interno, e per questo si crea qualche momento di calca. Alla fine della giornata saranno circa tremila i milanesi passati vicino al «Binario 21», dal quale partivano i convogli verso Auschwitz. Spiega Roberto Jarach, vice presidente della Fondazione Memoriale della Shoah: «L’inattesa affluenza, in proporzione nettamente superiore rispetto alle previsioni, ha creato qualche impaccio all’organizzazione e la registrazione. La risposta della cittadinanza è stata un eccezionale segnale di partecipazione e ci scusiamo sia con chi ha dovuto attendere molto, sia con chi è rimasto fuori o ha dovuto rinunciare alla visita».
L’attesa provoca insofferenza. Il fastidio si sfoga sulla politica. Succede alla fine della mattinata. Tra le persone in coda si fa strada l’idea che «noi siamo qui fuori perché loro devono fare la solita passerella». Fischi all’uscita per il presidente del Consiglio, Mario Monti. E altri fischi per Berlusconi, accompagnati da qualche urlo («Buffone»). Nessuno in strada, in quel momento, conosce ancora le sue frasi su Mussolini.
Avrebbe dovuto essere la giornata del silenzio e delle parole sommesse della memoria. Per ricordare che dei 605 ebrei deportati ad Auschwitz dal «Binario 21» il 30 gennaio 1944, tornarono a casa solo in 22.


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