Il Monte bipartisan che accontentava tutti

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MILANO — Monte dei Paschi? Una banca con il cuore politico a sinistra, feudo del centrosinistra toscano. E potrebbe essere diversamente, visto che a Siena e provincia si registrano, dal dopoguerra, le percentuali elettorali più alte d’Italia del Pci-Ds-Pd. Ma un conto è la politica, un altro gli affari. E da questo punto di vista, Mps si è sempre rivelata una banca in perfetto stile bipartisan, una grande coalizione del prestito che non ha mai guardato al colore della tessera di partito.
Lo sapevano bene i furbetti del quartierino, compreso il raider di Borsa Emilio Gnutti, che con la sua bicamerale degli affari, la finanziaria Hopa, è stato azionista del Monte almeno fino alla fine del 2007. Nella “sua” Hopa convivevano come azionisti da una parte la finanza “rossa” della Unipol di Giovanni Consorte, la stessa banca senese e dall’altra la Fininvest di Silvio Berlusconi. Tutti insieme, grazie anche ai soldi del Monte dei Paschi, sono stati protagonisti della scalata alla Telecom di Roberto Colaninno, il manager mantovano entrato nell’orbita senese proprio grazie all’acquisizione da parte del Monte dei Paschi della Banca agricola mantovana.
Del resto, finanziamenti e prestiti non sono arrivati negli anni solo al mondo delle Coop, che hanno spesso espresso un loro uomo in cda. Ma copiosi sono giunti anche al mondo espressione del centrodestra. A cominciare dal suo leader indiscusso. Non è un caso se Silvio Berlusconi ha lasciato ad altri, a cominciare da Angelino Alfano, il compito di attaccare a testa bassa il legame Pd-Mps. Il Cavaliere non potrebbe: «Io ho un legame particolare con Monte dei Paschi – ha dichiarato all’esplodere dello scandalo – è una istituzione a cui voglio bene: grazie a loro ho potuto costruire Milano 2 e Milano 3”, ha detto ostentando affetto. Un legame testimoniato dal fatto che proprio con i conti sulla banca senese il ragionier Spinelli ha compensato le “olgettine”.
La via della partecipazione azionaria è stata la strada seguita da Salvatore Ligresti, imprenditore notoriamente vicino ai socialisti prima e ad Alleanza Nazionale poi, per arrivare allo scrigno del Monte dei Paschi. Nonché da Francesco Gaetano Caltagirone, suocero del leader Udc Pier Ferdinando Casini. Il primo è stato azionista della banca fino alla fine del 2004 e una traccia della gratitudine dell’istituto si trova nel fallimento delle holding della famiglia Ligresti, la Imco. La banca, oltre a esserne creditore, ha rilevato dalla società  poco prima del fallimento un progetto immobiliare a Roma in via di Casal Boccone per 110 milioni di euro e ora si trova col cerino acceso in mano. Caltagirone, dopo essere stato azionista e vicepresidente della banca fino alla fine del 2011, ha abbandonato la baracca. Uno dei suoi ultimi affari è stato comprare nel 2009 attraverso il veicolo Fabbrica Immobiliare (partecipata anche dal Monte dei Paschi) un immobile sede della facoltà  di Lettere e Ingegneria di Siena per 74 milioni di euro e averlo subito dopo affittato all’Università  per 5 milioni l’anno per i successivi 24 anni. L’incasso finale sarà  di 120 milioni di euro.
Chi però non aveva i soldi per comprare quote, ha avuto accesso al tesoro del Monte grazie alle sponde politiche. Come per esempio Dennis Verdini, plenipotenziario del Pdl in Toscana nonché uno dei coordinatori nazionali del partito, che fino al 2011 poteva contare nel cda su Andrea Pisaneschi, avvocato e professore di Diritto costituzionale, eletto nel 2008 alla presidenza di Antonveneta. Secondo la ricostruzione della procura di Firenze che ha indagato sul Credito cooperativo fiorentino di Verdini e i legami con l’impresa Btp di Riccardo Fusi, sarebbe stato proprio Pisaneschi uno degli sponsor senesi per il prestito da 150 milioni di euro concesso al gruppo Fusi da Mps (60 milioni) in consorzio con Unipol (50 milioni) Cariprato (20 milioni), lo stesso Credito fiorentino (10 milioni) e la Banca Mb (10 milioni).
E se il Pd (componente cattolica compresa come dimostra la presenza nel cda di Franco Monaci, ex Margherita ora transfuga nelle liste di Monti all’insaputa del premier) ha espresso i vertici della banca, il Pdl ha fatto man bassa di tutta una serie di posizioni nelle controllate. Oltre a Pisaneschi, a più riprese ha fatto parte del cda Carlo Querci, per il quale è stata fatta una deroga nel 2010 per consentirgli di superare i 10 anni di mandato. Vicino a Gianni Letta, è padre di Nicolò Querci, uno dei più stretti collaboratori di Berlusconi e membro del cda Mediaset. E tra i consiglieri e i sindaci delle controllate non manca mai la quota Pdl, tanto da poter rintracciare anche due coordinatori locali del partito. Al punto da essere attaccati dalle Lega Nord Siena: «Ora criticate, ma avete sempre condiviso tutte le scelte».


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