«Marea blanca» dei medici contro la privatizzazione

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MADRID.  In Spagna le previsioni apocalittiche si sono avverate, almeno sui dati per l’impiego: a gennaio la disoccupazione ha oltrepassato la soglia dei 6 milioni: oltre il 26,6%% della popolazione attiva e peggio della Grecia, penultima nella classifica continentale. L’eurozona conta 18,8 milioni di senza lavoro, il che significa che quasi uno ogni tre disoccupati made in Ue, fa la fila (invano) agli uffici di collocamento spagnoli.
Sono numeri straripanti che il governo del Partido popular – fallita prevedibilmente la riforma del lavoro a base di licenziamenti facili e tagli salariali – non sa più come arginare e su cui graveranno anche le dimissioni di 322 dirigenti sanitari della Comunidad de Madrid, che martedì scorso – coordinati dalla Plataforma de Equipos Directivos de Centros de Salud – si sono dimessi per protestare contro la svolta privatizzante intrapresa dal governo della regione(in mano al Partido Popular) in ambito sanitario. Sulla scrivania del presidente della Comunidad Ignacio Gonzà¡lez sono piovute in massa le lettere di dimissioni di medici, infermieri e personale amministrativo responsabili di 137 ambulatori della capitale, che diventeranno effettive, se – com’è quasi certo – l’amministrazione regionale porterà  fino in fondo il piano di svendita del sistema sanitario, che prevede il passaggio ai privati di 6 tra i più importanti ospedali della capitale e 27 centri di salute.
Tra regione e camici bianchi – che contano sull’appoggio della cittadinanza, organizzata in vari comitati a favore della sanità  pubblica – ormai è scontro aperto e il gesto dei medici ribelli segna un punto di non ritorno nel braccio di ferro sul modello di gestione della sanità . Tant’è che le dichiarazioni del governo regionale, benché calibrate per minimizzare l’accaduto, hanno lasciato trasparire una certa inquietudine.
La dimissioni di massa arrivano, infatti, un giorno dopo la prima manifestazione del 2013 della Marea Blanca (com’è stato battezzato il movimento dei medici dissidenti), che ha salutato l’anno nuovo, così come aveva congedato quello passato: al grido di «la sanità  pubblica si difende, non si vende». Quella di lunedì è stata solo l’ultima di una serie di agguerrite proteste iniziata a dicembre e sfociata, a metà  del mese scorso, con uno sciopero a singhiozzo durato cinque settimane e che ha portato vicino al collasso la sanità  della regione, obbligando a sospendere 40.000 visite e 6.000 interventi.
Anche l’ammutinamento dei 322 camici bianchi potrebbe mettere in ginocchio il servizio sanitario, lasciando scoperti più della metà  dei 270 ambulatori della capitale. «La nostra iniziativa non è un tentativo di boicottaggio – ha però voluto precisare Paulino Cubero, portavoce della piattaforma che riunisce i dimissionari – il fatto è che il governo ha innescato il processo di privatizzazione senza consultare gli addetti ai lavori. Se non ha bisogno di noi per decidere, saprà  fare a meno di noi anche nella gestione dei centri di salute». Con questo «strumento di pressione» il personale sanitario spera di riuscire ad aprire il dialogo col il governo regionale.
Intanto CapioSanidad (in mano ad un fondo d’investimento inglese) e la valenciana Ribera Salud, le due grosse società  che concorrono per spartirsi i 6 ospedali madrileni e che già  gestiscono alcuni nosocomi del paese (soprattutto nella Comunitat Valenciana), restano in attesa del probabile passaggio di consegne. Un passaggio sul quale incomberebbe una curiosa coincidenza genealogica: il direttore generale di Ribera Salud, Alberto de Rosa, è fratello di un esponente di spicco del Pp valenciano, già  segretario di giustizia nel corso dello scorso governo della Comunitat valenciana.


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