«Per la patrimoniale non ci sono le condizioni Va ripristinata la tassa di successione»

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Forse l’elemento di novità  di questo piano dal nome un po’ antico è che bisogna creare lavoro nuovo, e non solo constatare che esiste un’offerta di lavoro – è il giudizio di Chiara Saraceno, docente a Torino esperta di politiche di welfare, sul «Piano del lavoro» presentato ieri dalla Cgil – «È importante che lo dica la Cgil. Quello che non mi convince è l’idea della politica dei due tempi. In un primo tempo si vuole investire per creare posti di lavoro soprattutto nel Mezzogiorno, per donne e uomini, impegnandoli nella bonifica del territorio per metterlo in sicurezza. E in un secondo tempo si vogliono fare riforme “di struttura” sull’istruzione, i servizi e la pubblica amministrazione. A me sembra che quest’ultima fase, quella della riproduzione della domanda di lavoro, sia altrettanto importante della prima. Ci deve essere un investimento immediato sui servizi, perché oggi molti non riescono a stare sul mercato del lavoro».
Condivide la centralità  della “questione meridionale” individuata dalla Cgil?
Senz’altro, ma vedo due punti inesplorati. La prima fase deve riguardare il Mezzogiorno, ma il piano non dice che il Mezzogiorno ha una lunga tradizione di posti di lavoro inventati anche nella tutela del territorio che non hanno prodotto nulla. Penso alle migliaia di forestali assunti in Calabria con pochi risultati. Ed è preoccupante la logica che vuole che questa occupazione siano a tempo indeterminato.
Perché?
Sono convinta che investire sull’ambiente sia utile per l’economia nazionale, ma non si può partire subito dicendo che tutti i nuovi posti di lavoro siano a tempo indeterminato. Prima sarebbe necessario capire come un posto di lavoro diventa produttivo. Non si possono erogare fondi indipendentemente da quello che si fa e senza sapere che cosa si fa. Avrei voluto che nel piano ci fosse un cenno, anche per evitare il rischio che questi investimenti vengano interpretati come un sussidio assistenziale.
Cinquanta miliardi per il rilancio della domanda interna e per promuovere la crescita. È un ritorno al keynesismo?
Mah, per il momento sono finanziamenti scritti sull’acqua, ma non dipende da chi ha scritto questo piano. Non sta qui il ritorno al keynesismo, perché lo Stato deve comunque assumere una responsabilità  per affrontare l’emergenza del lavoro che stiamo affrontando. A me sembra che il pezzo keynesiano del piano stia nel dire che ci sono tanti lavori urgenti e necessari che non sono stati fatti e che bisogna fare perché altrimenti ci costano molto di più. Pagare i danni di un disastro naturale costa di più che prevenirlo.
Nel piano si allude anche ad una patrimoniale, anche se non viene chiamata con questo nome…
Mi sembra che non ci siano le condizioni politiche per farla. Ma si potrebbero adottare altre misure. Ad esempio ripristinare la tassa di successione abolita da Prodi. So di non essere popolare, ma questo è uno dei modi per riprodurre le diseguaglianze, un modo per ridistribuire la ricchezza privata che arriva alle generazioni future senza che abbiano contribuito a crearne una nuova. A me e ai miei cinque fratelli è accaduto e lo trovo ingiusto.
Ritiene che alla contrattazione collettiva spetti il compito di promuovere nuova occupazione di qualità  e regolare il precariato, come sostiene il sindacato?
Non credo che sia la soluzione per tutti i problemi del mondo del lavoro, anche perché non lo è stata in passato. C’è bisogno di mettere in ordine i contratti esistenti. Nel piano si parla giustamente del rilancio di un “nuovo welfare”. Se questo significa che nel contracting out dove molti servizi pubblici sociali vengono gestiti in convenzione dal terzo settore non si faccia discriminazione tra i contratti, allora va bene. Oggi invece i lavoratori dei servizi convenzionati sono pagati di meno di coloro che lavorano per il pubblico. È necessaria un’omogeneità  tra il lavoro nel pubblico, nel privato e nel terzo settore.
Si parla di un “reddito di continuità ” tra un lavoro e l’altro e di ammortizzatori sociali universali. È una novità  per la Cgil?
In realtà  non è una proposta nuovissima, la Cgil è cambiata dai tempi di Trentin che era contrarissimo al reddito minimo di inserimento. Aumenta il numero dei contratti e si lasciano fuori troppe persone come con l’Aspi o la mini-Aspi che non riguarda i ragazzi al primo impiego o i cocopro. In Italia manca ancora il reddito di garanzia per chi non ha accesso all’indennità  di disoccupazione che bisogna precisare, è una misura diversa dal reddito. Questa mancanza ha reso vulnerabili le nostre famiglie che suppliscono con i risparmi.
Il reddito sarà  adottato nella prossima legislatura?
Lo spero, ma l’importante è che non si resti alla fase della sperimentazione. Quello che mi turba è che in questo paese si torna sempre all’inizio, perdendo la memoria dei problemi che restano tutti.


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