Montepaschi da commissariare e via la Fondazione dal capitale

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 IL DOCUMENTO trovato nella cassaforte dell’ex direttore generale, grazie al quale Mps ha occultato centinaia di milioni di perdite, aggiunge solo un tocco grottesco a una storia già  vista, e molto più frequente di quanto si creda: c’è una banca (o un’azienda) mal gestita; allora si maschera la cattiva gestione facendo un investimento finanziario rischioso per aumentare gli utili; se poi l’investimento va male si occultano le perdite, aspettando tempi migliori. Come? Se l’investimento, pagato 100, vale 90, si cerca una banca connivente disposta a comperarlo per 100; in cambio si acquista e si contabilizza per 100 un altro investimento.
E QUESTO altro investimento però sul mercato varrebbe solo 80, sperando che col tempo salga di valore. Se accade, le perdite sono occultate per sempre e la banca connivente guadagna 10. Se però l’azienda entra in uno stato di dissesto, le magagne vengono alla luce e scoppia lo scandalo. È il caso di Mps.
Il derivato “segreto” è solo l’ultimo anello di una catena servita a mascherare perdite potenziali su operazioni per nulla segrete perché in bilancio da anni (a valori fasulli). Anche nel caso Mps, alla radice ci sono anni di mala gestione dell’attività  ordinaria della banca (costi di struttura elevati, gestione dei crediti inefficiente, investimenti clientelari, vendita di prodotti truffaldini) che hanno spinto a ricercare la redditività  ricorrendo a investimenti rischiosi e operazioni straordinarie. Una situazione sotto gli occhi di tutti e che avrebbe dovuto mettere in allarme.
Lo scandalo dei derivati Mps è scoppiato adesso perché la banca, di fatto, è in uno stato di dissesto. Altrimenti non se ne sarebbe accorto nessuno. Quante operazioni simili vengono fatte, e passano inosservate perché l’azienda non va in dissesto?
Il caso Mps getta anche una luce sinistra sui bilanci delle nostre istituzioni finanziarie. Solo qualche mese fa il crollo di Fonsai ha rivelato enormi perdite occultate da anni. Anche qui, dopo anni di mala gestione. Fonsai è stata salvata da Unipol, a sua volta imbottita di titoli strutturati con derivati, il cui valore è oscillato a seconda di chi faceva la perizia. Alla fine, perfino la prudentissima Consob si è sentita in dovere di contestarne i bilanci.
Se questa è la trasparenza della terza banca e della seconda assicurazione italiana, credo sia perlomeno legittimo avere dubbi sulla qualità  dei bilanci dell’intero sistema finanziario. Infatti, la Borsa esige oggi un forte sconto (più alto che altrove) rispetto ai valori di libro per le banche e le assicurazioni italiane. Il rischio “Italia” è anche questo. È ora nell’interesse nazionale che, al posto della solita stucchevole difesa di ufficio, o della storia della mela marcia, si richieda una generalizzata ed energica
operazione di pulizia: i prossimi bilanci 2012 sono l’occasione di dimostrare che si è passati dalle dichiarazioni ai fatti.
Importante accertare le responsabilità . Ma nel caso Mps è ancora più importante far emergere rapidamente la vera situazione patrimoniale e chiudere la ristrutturazione nel minor tempo possibile. Nel frattempo, il premio per il rischio “Italia” lo paghiamo tutti. Assurdo però che a sovrintendere la ristrutturazione rimanga l’azionista di maggioranza, la Fondazione, che non solo ha sostenuto una gestione fallimentare della banca ma anche eroso il suo patrimonio con derivati e operazioni azzardate. La banca va commissariata senza indugio, per dare all’attuale vertice i pieni poteri e un chiaro mandato a far emergere il reale valore di tutte le posizioni valutandole a prezzi di mercato; a fare tutti gli accantonamenti necessari su prestiti, partecipazioni e immobilizzazioni; a procedere alla cessione in blocco sul mercato, a prezzi realistici, di pacchetti di crediti, titoli, derivati, sportelli e partecipazioni; e a tagliare drasticamente i costi, senza estenuanti negoziazioni con il potere locale, l’azionista Fondazione e i sindacati.
Perché la banca abbia il capitale necessario ad assorbire le perdite che l’operazione pulizia comporta, per esautorare l’azionista Fondazione, e garantire l’operato del vertice in funzione di commissario, lo Stato deve convertire i Tremonti- Monti bond in azioni ordinarie. Per poi ricollocare il capitale sul mercato al miglior offerente, il prima possibile (negli Usa, sono bastati quattro anni allo Stato per ristrutturare, e uscire).
Si dice che lo Stato, coi Tremonti-Monti bond, non userebbe i soldi del contribuente perché i bond verranno ripagati e hanno un interesse elevato. È falso: per superare un dissesto ci vuole capitale; e la pretesa dello Stato di farlo con il debito, ad alto rendimento e zero rischio, non è credibile. I Tremonti-Monti bond (due governi ne condividono la responsabilità ) sono stati la peggiore delle soluzioni: lo Stato si accolla il rischio della ristrutturazione, lasciandone però la guida e i benefici nel caso di successo, agli azionisti che hanno creato il danno.
Anche nel caso Mps, fa comodo accusare lo strumento derivati per giustificare comportamenti abusivi. E fa comodo accusare la finanza made in Usa per non vedere i danni di quella nostrana. Come bandire le cesoie perché considerate responsabili dei furti di bicicletta. Perché invece non scandalizzarsi per i miliardi di costosi titoli strutturati (con derivati) che da anni banche e assicurazioni scaricano agli ignari risparmiatori?
Infine, Nomura: c’è sempre una banca di investimento connivente. La connivenza va punita quanto l’abuso. Dietro a qualsiasi dissesto e scandalo finanziario nel mondo ci sono sempre sì e no dieci istituzioni. Il modo migliore è di toccarle pesantemente nel portafoglio, e nella loro capacità  di operare, anche con revoche temporanee della licenza a operare nel paese. Vedo invece molta titubanza. Come se lo Stato non volesse inimicarsele dati gli stretti rapporti per la gestione del debito pubblico. Anche su questo sarebbe ora di fare chiarezza.


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