Alimentazione: La spirale del risparmio

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Era dai tempi di Sweeney Todd che non c’era altrettanta incertezza sugli ingredienti della carne macinata: questa volta non si tratta dei clienti del diabolico barbiere di Fleet Street, ma dei cavalli della Romania.

Dato che la carne di cavallo è più magra della carne di manzo di bassa qualità  e contiene più omega 3, può anche darsi che questo sia uno di quei rari casi di sofisticazione che rende un alimento più salutare. Ma ciò non chiarisce affatto l’intera filiera tramite la quale i supermercati e i ristoranti si procurano gli alimenti. Se finora non si sono accorti della carne di cavallo, cos’altro può essersi introdotto a loro insaputa nella filiera?

Al vertice del mercato, dove i macellai bio promuovono la tracciabilità  alimentare e in pratica conosci perfino il nome dell’animale che metti in tavola, scambiare un cavallo per una mucca è impensabile. Ma all’estremità  opposta del mercato, oberata dall’aumento dei prezzi e dalla crescente domanda di carne dalla Cina e dalle economie emergenti, di fatto finiscono in pentola strane cose.

Così non si può andare avanti. L’industria automobilistica statunitense una volta dovette affrontare un caso analogo con i fornitori, spremuti così tanto che il prodotto perse sempre più qualità  e i produttori fallirono. Per quanto sia difficile instaurare buoni rapporti con i fornitori in un mondo in cui i consumatori chiedono prezzi bassi, l’industria alimentare non ha alternative.

Da un certo punto di vista, la concentrazione di produzione e distribuzione verificatasi negli ultimi decenni – durante i quali i negozi di quartiere sono stati rimpiazzati da supermercati riforniti da grossisti – ha costituito un buon affare per il consumatore medio. Ha infatti elevato la qualità  in genere (non c’è bisogno di parlare degli ingredienti delle salsicce britanniche e dei polpettoni negli anni settanta) e ha messo un freno ai prezzi. Nei due decenni prima del 2007 nei negozi i prezzi sono scesi in termini reali. Non soltanto i prezzi delle materie prime erano più bassi, ma i supermercati li riducevano acquistando tramite reti di fornitori – agricoltori, aziende alimentari e commercianti – che per ogni ordine dovevano dimostrarsi più competitivi possibile.

Tutto è cambiato nel 2007-08 con il primo dei molti scossoni ai prezzi delle materie prime. L’uso negli Stati Uniti di prodotti agricoli per la produzione di combustibile ha fatto impennare il prezzo degli oli di mais, di palma e di barbabietola, e i mercati hanno avvertito la pressione della crescente domanda di carne dei paesi emergenti. Il consumo procapite di carne nella sola Cina è quadruplicato dal 1960 a oggi.

All’industria alimentare è rimasta una catena di fornitori lunga, complicata, transnazionale e sotto enormi pressioni. Ed ecco che entrano in gioco i cavalli: in questo caso la carne di cavallo romena pare sia finita nelle lasagne “al ragù di manzo” e in altri prodotti venduti da supermercati di Francia e Regno Unito tramite un fornitore cipriota e un distributore francese.

A questa notizia i supermercati hanno alzato le braccia al cielo e giurato di non avere idea di come ciò sia potuto accadere. Ma sulle proprie filiere avevano gli occhi ben chiusi: non sapevano dei cavalli perché non sapevano granché nemmeno delle mucche, avendo sempre affidato tale responsabilità  ai loro fornitori diretti, che a loro volta contavano sui propri fornitori e così via. “I supermercati non sono molto informati sui loro prodotti e i rapporti di lavoro con i fornitori sono transnazionali”, dice Sion Robert, senior partner della società  di consulenze European Food and Farming Partnerships. “Uno dei loro fornitori può trovarsi sotto forti pressioni finanziarie a loro insaputa”.

Del resto è anche vero che non hanno mai voluto saperne di più, dato che i supermercati – al pari delle aziende biologiche che producono sementi e fertilizzanti – sono tra i pochi ad aver conservato i loro margini di profitto negli ultimi anni. Quindi le pressioni e i problemi si sono verificati in mezzo a questa filiera, tra le aziende del comparto alimentare e i coltivatori.

“L’agricoltore è un acquirente senza potere contrattuale, che incide pochissimo sul mercato”, dice Justin Sherrard di Rabobank, secondo cui è indispensabile che i fornitori del settore alimentare abbiano rapporti molto più stretti. “C’è un limite alle pressioni alle quali si possono sottoporre di continuo i fornitori”.

Aver venduto carne di cavallo per carne di manzo è il segno plateale che quel limite è stato raggiunto. Anche se poche le persone si preoccupano di aver mangiato carne equina – e in effetti così dovrebbe essere – gli ebrei e i musulmani praticanti hanno tutto il diritto di indignarsi se della carne di maiale dovesse finire mescolata alla carne di manzo.

Un modo molto efficace per ridurre i costi è lo spot trading dei prodotti agricoli – spesso tramite piattaforme elettroniche. Ma ciò non influisce affatto in termini di promozione della qualità  e dei guadagni, ed è oltretutto difficile che fornitori e agricoltori ci investano sul lungo periodo, sottoposti come sono all’instabilità  dei prezzi mentre si arrabattano per aggiudicarsi qualche ordine.

Un ottimo investimento

Prima della crisi del 2008, l’industria dell’automobile negli Stati Uniti fu presa in questa stessa trappola e si arrivò alla bancarotta di Chrysler e General Motors. All’epoca i produttori avevano spinto di continuo i fornitori nella corsa al ribasso dei prezzi per ridurre i loro stessi costi, e si erano ritrovati a vendere a prezzi stracciati automobili di scarsa qualità . Al contrario, le case automobilistiche giapponesi come la Toyota e la Honda hanno sempre avuto un rapporto più collaborativo e a lungo termine con i loro fornitori, dando la giusta importanza all’innovazione e alla qualità  più che al prezzo più basso possibile. E le case automobilistiche americane hanno dovuto seguirne l’esempio.

È molto difficile passare da un circolo vizioso di taglio delle spese e calo della qualità  a un circolo virtuoso di cooperazione e innovazione, specialmente quando i soldi scarseggiano. Alcuni consumatori saranno sicuramente disposti a pagare di più pur di contare su tracciabilità  e forniture dirette da aziende agricole selezionate. Ma per la maggior parte delle persone questo resterà  un lusso.

Eppure cambiare è possibile, anche per il mercato di massa. L’immagine di McDonald si era notevolmente appannata in seguito alle rivelazioni del 2003 del libro Fast food nation di Eric Schlosser sulla scarsa qualità  della carne utilizzata. Adesso McDonald traccia tutta la carne servita nei ristoranti del Regno Unito che proviene direttamente da 17.500 allevamenti in Irlanda e Regno Unito grazie a contratti a lungo termine. E molte altre aziende del settore alimentare stanno adottando lo stesso provvedimento.

Tenuto conto dei rischi alla reputazione che corrono le catene di ristoranti e di supermercati se lasciano solo al caso simili questioni – o a qualsiasi fornitore che venda di sua iniziativa tranci anonimi di carne – questo è sicuramente un ottimo investimento.

Traduzione di Anna Bissanti


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