Gramsci e il «taccuino scomparso» prove inoppugnabili, non scoop

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Forse è rimasto sinora in ombra uno studio importante e benemerito di Giuseppe Vacca e Chiara Daniele, consistente nella raccolta di documenti sulla storia del testo: Togliatti editore di Gramsci (Carocci, 2005). Qui c’è la risposta alla vexata quaestio. Si tratta in particolare di due documenti figuranti rispettivamente alle pagine 73 e 83. Il primo è una lettera datata 20 aprile 1945, riservata, del vice-ministro degli Esteri sovietico Dekanozov attestante che alcuni giorni prima, il 3 marzo, «sono stati consegnati a Ercoli (=Togliatti) 34 quaderni di lavori di Antonio Gramsci» (l’arrivo dei «34 quaderni di Gramsci fitti di scrittura» fu confermato, come ormai ben noto, da Togliatti il 29 aprile 1945 al San Carlo di Napoli: il suo discorso è stato più volte ristampato). Il secondo documento è di venti mesi più tardi (10 dicembre 1946) ed è l’«inventario dei documenti personali di Antonio Gramsci in custodia presso l’Archivio dell’Istituto Marx-Engels-Lenin» di Mosca: materiali — si precisa — da «consegnare personalmente al compagno Togliatti». Tra i materiali lì descritti — molti dei quali sappiamo per certo che giunsero a Roma — c’è anche: «Quaderno: quantità , 1».
Si dà  il caso che, grazie alla liberalità  dell’attuale direzione della Fondazione Gramsci, si disponga anche del cosiddetto «Quaderno di Tania» contenente l’indicizzazione parziale che Tania allestì, e poi accantonò, del lascito gramsciano. Dentro tale «Quaderno», fisicamente del tutto simile ai 34, vi è anche la copia fotografica dell’elenco del 10 dicembre ’46: dell’elenco cioè in cui si parla dell’isolato «Quaderno: quantità , 1». È dunque più che sensato pensare che quell’isolato «Quaderno» sopraggiunto successivamente sia per l’appunto quello di Tania.
Conclusione: se si include nel calcolo anche il «Quaderno di Tania», i «Quaderni» diventano 35. Dunque ce n’era comunque un altro di Gramsci, oltre ai noti 33.
Se poi si volessero far entrare in ballo anche i due «Quaderni» del tutto privi di scrittura la cui esistenza Francioni segnalò, e sostenere che nei 34 vanno computati anche quei due, i conti non tornerebbero ugualmente. I «Quaderni» scritti da Gramsci retrocederebbero a 32! Invece per fortuna ne abbiamo almeno 33. Dunque i due privi di scrittura non c’entrano.
Soggiungiamo una considerazione a dir vero ovvia. Perché stupirsi della scelta compiuta a suo tempo (1948-51) di non pubblicare qualcosa del lascito gramsciano? Anche dei «Quaderni» fin qui noti alcune parti furono escluse. E non erano prime stesure: erano stesure uniche (quelle che poi Gerratana chiamò «testi B»). Furono escluse e basta. Due giovani studiose hanno fornito di recente la documentazione in proposito nel volume Spie, Urss, antifascismo. Gramsci 1926-37 (Salerno Editrice, 2012), alle pagine 238-249. Utile l’intera indagine: contributo per chiunque voglia orientarsi nell’accorto mosaico costituito dalla cosiddetta edizione tematica dei «Quaderni di Gramsci».


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