Maroni: noi non c’entriamo Il premier annuncia interventi

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ROMA — Il caso Finmeccanica con l’arresto del suo manager, Giuseppe Orsi, irrompe nella campagna elettorale con il rituale carico di accuse reciproche tra i partiti. E il gruppo di piazza Montegrappa offre bene il fianco a questo tipo di polemiche, essendo da sempre le nomine della controllata del Tesoro (al 30,2%) oggetto di decisione della maggioranza di governo.
La nomina di Orsi a presidente di Finmeccanica, al posto di Pier Francesco Guarguaglini, è stata la prima del governo Monti, nel dicembre del 2011: in quei giorni il premier guidava ad interim anche il ministero dell’Economia. Ma Orsi era già  arrivato in Finmeccanica come amministratore delegato il 4 maggio 2011, nominato dal governo Berlusconi, con l’appoggio di Lega e Udc.
Ecco spiegato il fuoco incrociato di accuse che ha toccato anche il Consiglio superiore della magistratura che ieri ha diffuso una nota precisando che «allo stato non risulta nessun coinvolgimento di consiglieri o magistrati del Csm nella vicenda». Tra i politici il più risentito appare il leader della Lega, Roberto Maroni, chiamato in causa nelle intercettazioni: «Ho sentito ancora oggi (ieri per chi legge, ndr) fare insinuazioni su un presunto coinvolgimento della Lega nella vicenda, come già  un anno fa chi fa queste insinuazioni ne risponderà  in sede civile e penale: la Lega non c’entra nulla». Il nome di Giuseppe Orsi al vertice di Finmeccanica «era stato indicato dal Consiglio dei ministri» e non dalla Lega, prosegue. Poi si dice «preoccupato per le sorti del gruppo Finmeccanica: mi pare che stiamo ammazzando le industrie italiane più prestigiose».
Una tesi sostenuta anche da Silvio Berlusconi (Pdl), secondo cui quella su Finmeccanica è l’ennesima «azione suicida della magistratura per la nostra economia», oltre a quelle su Eni e Saipem. Riferendosi alle accuse relative a tangenti che sarebbero state pagate da Finmeccanica per vincere una gara di elicotteri in India, il Cavaliere sostiene che l’azione della magistratura produrrà  l’effetto che le aziende italiane «non riusciranno più a vendere nulla in Paesi che non siano delle democrazie». Quasi a voler legittimare il sistema di scambio sotterraneo che sottende agli appalti nei Paesi non democratici.
Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, giudica la vicenda un «fatto serio» e aggiunge che «forse il governo (Monti, ndr) doveva fare qualche mossa prima». Adesso invece «si deve dare continuità  gestionale assolutamente a questa grande impresa» e bisogna farlo «con le risorse interne». Dopo, nei tempi più rapidi, si dovrà  «provvedere anche a un rinnovo di tutto il sistema di governance e delle cariche di quell’azienda e c’è da riflettere certamente su questi temi della corruzione internazionale», forse rivedendo «anche la legislazione», come di recente è stato fatto in Inghilterra. Il suo vice, Enrico Letta, chiede subito al governo una convocazione della maggioranza, mentre il segretario di Sel, Nichi Vendola, dice «sì a una soluzione-ponte fino a metà  marzo», ma rileva anche le responsabilità  del governo Monti «che sono pesantissime». Per il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, i casi Finmeccanica o Mps dimostrano che «bisogna tenere la guardia alta anche come garanzia di tenuta del sistema industriale». Mentre per Antonio Ingroia (Rivoluzione Civile), «Monti avrebbe dovuto rimuovere i dirigenti della società  già  da tempo». Anche per Beppe Grillo del Movimento 5 Stelle «chi doveva vigilare» era il Tesoro «e quindi il governo». Infine il leader di Idv Antonio Di Pietro, annuncia una denuncia al governo per «omissione di atti d’ufficio».


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