I piani su Chrysler spingono Fiat E Industrial corre sul mercato Usa

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MILANO — Parte tutto da un’analisi di Deutsche Bank. Si concentra su Fiat Industrial, promuove il titolo da hold (tenere) a buy (comprare) e alza il prezzo-obiettivo da 9,5 a 12,5 euro. Da lì, dal gruppo che l’istituto tedesco definisce «uno dei pochi player di valore nel settore» nonché «più attraente e trasparente» in vista della fusione con Cnh (dal terzo trimestre), in Piazza Affari scatta un movimento che porta tutti i titoli della scuderia in netta controtendenza rispetto al listino. Nella prima ora di contrattazione Industrial sale del 2,37%. Exor, la controllante, va su dell’1,68%. E Fiat Spa — l’auto — ripete l’exploit di venerdì: allora aveva lasciato a +5% dopo aver sfiorato anche l’11%, adesso finisce di nuovo «congelata» e quando, intorno alle 10, viene riammessa, segna un +2,8%. Una corsa che continuerà  anche nel pomeriggio. E, insieme a pochi altri valori, sono proprio Industrial, Exor e Fiat Spa (chiusure, rispettivamente, a +0,32, +1,95, +3,25%), a consentire a Milano di ridurre le perdite.
È un mercato estremamente speculativo, certo. C’è però un filo molto concreto a legare le performance dei tre titoli. Quel filo porta all’America. Sia come peso del business, ormai, nella geografia del Lingotto (si tratti di camion o macchine agricole o automobili). Sia sul fronte delle future evoluzioni nell’azionariato: da un lato la già  avviata fusione Industrial-Cnh, con quotazione a Wall Street; dall’altro le tappe che, con o senza offerta pubblica del pacchetto Veba (dipenderà  dalle trattative con il fondo del sindacato Usa), porteranno all’integrazione completa Fiat-Chrysler. Anche questa «tecnicamente possibile», per dirla con Sergio Marchionne, «entro l’anno».
Nel caso di Industrial è Deutsche Bank a sottolineare quello che il mercato, finora, era sembrato trascurare: non solo i benefici della fusione ma, in parallelo, il fatto che «i tre quarti del risultato operativo arrivano da Cnh». Dunque dalla controllata Usa. Dunque grazie a un mix che tiene il gruppo al riparo, non da ieri, dai rovesci della lunga recessione nella Ue.
Se ciò è vero per trattori e camion, lo è e lo sarà  a maggior ragione per l’auto. Discorso che Marchionne e John Elkann hanno fatto infinite volte. Ma limitandolo, fin qui, agli aspetti di bilancio. Chrysler che salva gli utili Fiat dalle perdite europee. Chrysler che, aprendo al gruppo il mercato statunitense, taglia da oltre il 60% a meno di un terzo il peso dell’Europa sul totale del fatturato. Ora, però, si va oltre. Perché si avvicina il clou del matrimonio celebrato nel 2009: la fusione societaria.
Si sa che Marchionne punta a rilevare l’intero pacchetto Veba, pari al 41,5%, senza passare dall’Ipo. Si sa che i fondi per liquidare il sindacato non sono un grosso problema (le trattative con banche internazionali disponibili al finanziamento sono già  avviate). Si sa che lo scoglio rimane la grande distanza sul prezzo. Ci sarebbe un meccanismo predeterminato, per definirlo, e in base a quello Fiat «quota» il pacchetto 1,76 miliardi di dollari. Veba ribatte — a ragione — che la Chrysler risanata ha un valore molto, molto più elevato: per il suo 41,5% di miliardi ne vuole 4,2. Un primo punto fermo lo metterà , tra qualche settimana, un tribunale del Delaware. Intanto però è su queste cifre che qualcuno in Piazza Affari sta cominciando a ragionare. Tradotte in euro significano che tutta la Chrysler vale per Fiat (ovviamente intenzionata a spendere il meno possibile) 3,2 miliardi, per il sindacato 7,8. Ma Fiat «con» Chrysler, in Borsa, oggi ne capitalizza 5,5. I «riposizionamenti» — e le scommesse — partono da qui.
Raffaella Polato


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