Il Pd alza i toni per ottenere un sì finora improbabile

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E la speranza del presidente del Consiglio incaricato di staccare la Lega dal Pdl è naufragata. Ieri sera il segretario del Pdl, Angelino Alfano, ha annunciato che oggi andrà  da Bersani in delegazione insieme con il capo del Carroccio, Roberto Maroni; dunque, niente incontro separato. Rimane la sensazione finale di un tentativo frustrato da ostacoli insormontabili. Almeno finora, non sono serviti a molto gli appelli a fare presto venuti da sindacati e imprenditori.
Fra la drammaticità  delle loro parole sulla crisi economica, e i veti incrociati dei partiti, rimane una distanza siderale. Il Pd non vuole nessun accordo con Silvio Berlusconi: ritiene che l’elettorato non lo capirebbe, e anzi punirebbe qualunque passo in quella direzione. Bersani considera l’apertura di una trattativa col Cavaliere un suicidio a tutto favore del movimento grillino. Ma il risultato è uno stallo che viene imputato alla rigidità  della sinistra. Berlusconi lo sa bene. Per questo insiste per un governo Pd-Pdl-Scelta civica di Mario Monti, e propone Bersani premier e Alfano vice: proposta non seria, si risponde.
Ma per il presidente del Consiglio incaricato i passaggi diventano ancora più stringenti. E il suo problema non sono soltanto le alleanze e il tentativo di strappare una qualunque fiducia al Senato, dove non ha una maggioranza. Deve anche salvaguardare la compattezza di un Pd che non sembra unanime né per il modo in cui il leader ha cercato un contatto con il Movimento 5 Stelle; né per le offerte al Carroccio; né per il «no» secco al Pdl, che implicitamente lascia affiorare qualche divergenza con lo stesso capo dello Stato, Giorgio Napolitano. L’insistenza con la quale il vicesegretario del Pd, Enrico Letta, ieri ha avvertito che «qualunque tentativo dopo questo è peggiore per l’Italia e per il Pd», sa di ultimatum anche rispetto ad un eventuale «governo del Presidente».
L’assenza del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, dalla Direzione del partito di ieri sera non è un bel segnale, nonostante il segretario minimizzi qualunque contrasto con il suo avversario delle primarie. D’altronde, più il suo tentativo di andare a palazzo Chigi va avanti, più si intravede una doppia difficoltà  di fondo. La prima è che gli equilibri parlamentari sono oggettivamente tali da rendere complicatissima qualunque soluzione. La seconda è che, proprio perché dare stabilità  all’Italia sarà  difficile, i partiti, senza distinzione, già  hanno un occhio alla fine della legislatura: prossima o meno che sia. E dunque, ognuno gioca a dimostrare di avere fatto il possibile per trovare una soluzione; e intanto si prepara a scaricare la responsabilità  del fallimento sugli avversari.
Non è un caso se ieri Alfano ha parlato più di sondaggi elettorali che di governo. «Il Pdl è sopra il 24 per cento», ha annunciato. «E la coalizione con la Lega si colloca al 31,4% mentre il centrosinistra è sotto di 1,50 punti». Conclusione: siamo primi, sostiene, preannunciando una campagna elettorale all’attacco. La scelta berlusconiana di mobilitare le piazze va nello stesso senso. E riflette il sospetto che nel Pd bersaniano possa prevalere la tesi di chi ritiene inevitabile votare prima dell’estate, se il tentativo del segretario fallisce. Si tratta di una prospettiva che il Quirinale cerca di evitare. Napolitano teme una deriva antisistema e riflessi internazionali pesanti. Le voci di un ulteriore declassamento del debito italiano ieri sono circolate di nuovo. E fanno apparire ancora più discutibile lo sterile gioco di posizionamento dei partiti.


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