Kenya, voto nel sangue almeno 19 vittime negli scontri fra tribù

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E’ STATO un giorno di violenza e di tensioni. L’incubo era che si ripetesse la tragedia del 2007, quando durante le ultime consultazioni morirono 1300 persone. Anche ieri, in Kenya si è votato nel sangue, 19 le vittime soprattutto nella regione di Mombasa. È andata molto meglio di sei anni fa, ma resta sempre alto il prezzo che molte democrazie africane pagano per l’esercizio di un diritto conquistato a fatica.
La gente ha votato, compatta e in massa, in quella che è considerata la più importante elezione del Paese da quando ha ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna (1963). La situazione resta comunque precaria: con il buio della notte due gruppi armati hanno occupato due seggi elettorali al confine con la Somalia. Si teme un’azione di Al Shabaab, il gruppo radicale islamico somalo che per tutto il giorno ha invitato al boicottaggio minacciando attentati.
Le elezioni di questo lunedì rinnovano tutte le cariche istituzionali del Kenya. Si eleggono i deputati e i senatori del Parlamento, i governatori e i membri delle 47 assemblee provinciali. Ma la vera sfida si concentra sul futuro presidente da sempre appannaggio di una delle due tribù più forti e numerose nel Paese. La gente era perfettamente consapevole della posta in gioco e si è messa in fila alle prime luci dell’alba davanti ai 30 mila uffici elettorali. La tensione era così forte che molti hanno intonato dei canti: un modo tutto africano di placare gli animi. Altri hanno direttamente pregato come era stato suggerito domenica durante le omelie nelle chiese. I segnali della notte, del resto, non promettevano nulla di buono. Radio e tv, assieme ai siti e ai social network, raccontavano di assalti e attentati. A Changamwe, mezz’ora di macchina da Mombasa, trecento miliziani armati di pistole, machete, archi e frecce, avevano attaccato la stazione della polizia facendo a pezzi i sei agenti barricati all’interno. Due pattuglie che si trovavano in zona sono state mandate in soccorso. Ma anche queste sono state prese di mira dal folto gruppo di aggressori. C’è stata una violenta battaglia che ha lasciato sul terreno 15 morti. Il governo punta il dito contro il Consiglio rivoluzionario di Mombasa (Mrc), anche se l’azione non è stata rivendicata. Tre ordigni sono esplosi in altrettanti uffici elettorali a Madera, villaggio al confine con la Somalia.
Le tensioni più forti si sono avvertite ai seggi. Molti hanno aperto in ritardo e l’ansia di votare ha provocato qualche protesta. Per evitare i brogli la Commissione elettorale indipendente ha deciso di convalidare il voto con l’impronta del dito bagnata nell’inchiostro. Per guidare il Paese si sono presentati in 8, ma la vera sfida è tra i due favoriti: Raila Odinga, 68 anni, primo ministro uscente, leader dell’etnia luo, già  candidato nelle elezioni del 2007, al suo terzo tentativo; e Uhuru Kenyatta, 51 anni, figlio del padre della Patria Jomo Kenyatta, nel 2007 sostenitore dell’attuale presidente Mwai Kibaki, esponente dell’etnia kikuyu, accusato di crimini contro l’umanità  dal Tribunale internazionale dell’Aja perché ritenuto istigatore degli scontri con i 1.300 morti. Dal primo spoglio, Kenyatta risulta in vantaggio. Se nessuno dei candidati raggiungerà  il 50 per cento dei suffragi si andrà  al ballottaggio del 5 aprile.


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