«La catastrofe Hollande» Ora anche i suoi lo scaricano

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PARIGI — C’è un deputato socialista parigino, noto per l’irruenza e la scarsa diplomazia, che si è sfogato davanti alle telecamere nei corridoi dell’Assemblea nazionale: «Il presidente della Francia non è un consigliere provinciale! Quando si è a capo della seconda potenza economica europea bisogna dimostrarsi all’altezza e smetterla di vivacchiare, finirla con quelle frasi sul «rilancio nella giustizia» o sul «nuovo modello francese», questa specie di nuova lingua orwelliana incomprensibile». E se lo dice lui, Pascal Cherki, che fa parte della maggioranza di Franà§ois Hollande ed è iscritto allo stesso partito, figuriamoci chi hollandiano non è.
Il momento è davvero difficile per il «presidente normale». A 10 mesi dalla sua elezione, i disoccupati a fine febbraio raggiungono quota 3 milioni e 187 mila, sfiorando il precedente record del 1997 (3,195 milioni). Per il 23° mese consecutivo i senza lavoro sono aumentati, e serve a poco ricordare che «si tratta di una tendenza che dura da anni»: è Hollande che si è fatto eleggere promettendo di «invertire la curva», ma lui stesso sposta il traguardo alla fine del 2013, quando i disoccupati saranno arrivati ormai all’11%. È il fallimento più doloroso, purtroppo non l’unico.
Stasera il presidente francese tornerà  in tv, un’intervista in diretta alle 20 e 15 nella speranza di invertire almeno la curva della sua popolarità  personale, anche quella in caduta libera: i sondaggi lo danno al 30%, meno di quanto ottenevano dopo 300 giorni all’Eliseo i predecessori Jacques Chirac e Nicolas Sarkozy, e la metà  del suo modello Franà§ois Mitterrand.
«Il presidente cercherà  di nuovo il contatto diretto con i francesi», dice la socialista Annick Lepetit, sulla base della rinnovata comunicazione «di prossimità » messa a punto grazie anche al neoconsigliere Claude Sérillon, ex conduttore del tg. Solo che, due settimane fa a Digione, il nuovo corso è cominciato male: «Ah no, la foto con lei non la voglio», ha detto una ragazza a Hollande tra i tavolini di un bar; «Dov’è il cambiamento, eh? Dove sono le promesse?», gli ha gridato un uomo subito portato via; per non parlare della signora che ha abusato della nota bonomia del presidente per sibilare «Non la sposi quella… Non ci piace», riferito alla compagna Valérie Trierweiler, la première dame.
Sono lontani i giorni di gennaio, quando il decisionismo sul Mali restituì un po’ di respiro all’Eliseo; Hollande oggi non appare più come le chef des armées ma l’uomo che ha spaventato il mondo della finanza (e l’icona nazionale Gérard Depardieu) annunciando una clamorosa tassa del 75% sui redditi superiori al milione, e poi se l’è vista bocciare dal Consiglio costituzionale; è il presidente che a Bruxelles nel giugno 2012 si mise alla testa dell’Europa del Sud per abbinare lo sviluppo al rigore, ma ora deve sperare nella sconfitta della cancelliera Merkel a settembre per riequilibrare un’Europa sempre più tedesca.
La Francia oggi è un Paese a crescita zero, potere d’acquisto in calo, deficit al 3,7% del Pil invece del 3% chiesto dalla Commissione Ue. Hollande ha a disposizione ancora quattro anni e una maggioranza solida ma intanto lo slogan elettorale, «il cambiamento è adesso», provoca più imbarazzo che ricordi di vittoria.


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