Barca sposta l’asse a sinistra

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ROMA — «Gli schiaffoni sono dietro l’angolo. Passati applausi e schiaffoni si comincerà  a ragionare, forse». Alle sei della sera Fabrizio Barca, 59 anni, affida a Twitter un primo bilancio della sua discesa in campo: gli elogi incassati e le sberle che arriveranno. Il documento con cui il ministro sogna di rivoluzionare il Pd e farne una forza di sinistra, senza il centro e senza complessi, è piombato su un partito in crisi di nervi, scosso da venti scissionisti e incapace di trovare la quadra sul Quirinale.
I cattolici sono in allarme, Beppe Fioroni ritiene «Barca e Renzi una risorsa», ma si prepara alle barricate: «Ci opporremo alla mutazione genetica del Pd in un soggetto di sinistra, conteso tra socialdemocratici e liberal, in cui la cultura cattolico democratica verrebbe rimossa». Affrontare l’elezione del capo dello Stato con il Pd ridotto a un «Vietnam» è un rischio che Bersani non può permettersi, anche per questo ha chiamato al Nazareno, uno dopo l’altro, Veltroni, Bindi e D’Alema. E a ciascuno di loro, in incontri separati, ha ribadito il «niet» a un governo di larghe intese.
E proprio nel giorno in cui l’aspirante premier prova a serrare i ranghi di un partito che si affanna in ordine sparso, ecco che Barca ufficializza il suo manifesto: «Ci ho pensato mesi, non sono un centometrista». Bersani gli aveva offerto il Campidoglio, lui ci ha pensato su ma si è convinto di «non essere la persona adatta». E adesso, quando tutti lo danno già  in corsa per la leadership contro Renzi, il ministro prende tempo: «Iscriversi a un partito e candidarsi il giorno dopo a segretario sarebbe grottesco», dice a Youdem. E ancora: «Sono un semplice iscritto del circolo di via dei Giubbonari e l’itinerario che ho intrapreso non è breve, non è per il dopodomani». Nel Pd pensano che sia per l’oggi e ritengono che il congresso sia virtualmente iniziato. Michele Emiliano è «pronto al ticket con Renzi» e Barca smentisce di essersi schierato contro il sindaco: «Non è così, anche se a qualcuno farebbe comodo». L’irruzione sulla scena del figlio di Luciano Barca, partigiano e parlamentare del Pci morto lo scorso autunno, è accolta senza slanci dall’entourage di Bersani. Il problema non è tanto il merito, quanto la tempistica. «Il segretario lo stima, la sua posizione non aiuta e non dà  fastidio», è l’aria che tira al Nazareno.
D’Alema ammette che il momento è difficile e riconosce a Barca «passione politica» e «tantissime qualità ». Tra le correnti è sfida aperta, sforzi e polemiche sono concentrati sul voto per il Quirinale eppure tutti guardano già  al dopo Bersani. E di certo al segretario non è sfuggito quel passaggio della memoria politica (che Barca ha mandato a lui, Renzi e Vendola), in cui il ministro critica con forza l’istituto fondante del Pd. «Le primarie del popolo tendono a dare legittimità  al cesarismo» avverte Barca, che guarda con preoccupazione ai «controllori di tessere» e però ha in testa l’esatto contrario del partito liquido teorizzato da Veltroni e poi da Renzi. Un Pd che si apra alla fusione con Vendola, si ispiri all’austerità  predicata da Enrico Berlinguer e riscopra le scuole di formazione per i suoi quadri. Un «partito palestra» saldamente radicato nel territorio, animato (e finanziato) dai militanti e dai volontari, «robusto» e «rigorosamente separato dallo Stato». Il metodo è lo «sperimentalismo democratico», la filosofia è la «mobilitazione cognitiva» e il contributo di Barca, denso quanto complesso, oltre a molti incoraggiamenti scatena le ironie del web. Cosa sarà  mai il «catoblepismo»? Su Twitter il termine usato da Barca va fortissimo e il ministro, che vuole liberare la politica dal «mito della democrazia istantanea» ma non teme il confronto sulla Rete, risponde a chi ne critica il linguaggio: «Il Paese è cresciuto, la casalinga di Voghera magari è più intelligente di noi». Barca non ha incontrato Bersani, però ha già  visto i metalmeccanici, i pensionati, la Cgil. «Mi è ben chiaro che la mia è un’ipotesi ambiziosa — riconosce —. Però è un disegno possibile, senza cui non può esservi una svolta nel governo del Paese». La «doccia fredda» per rinnovare la politica è una sfida allo Stato, oltre che alla dirigenza del Pd: «Mi piacerebbe che attraverso il confronto sulle idee emergesse una squadra».
Ma il ministro, convinto che le «soluzioni tecnocratiche» non salveranno il Paese, sa bene che si farà  «molti nemici»…


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