Il governo piace a un italiano su due

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MENTRE l’insoddisfazione appare ampia nella base di SEL e, soprattutto, del M5S. È un paradosso che richiama, almeno in parte, il clima d’opinione che ci circonda. Uno “stato di necessità ” economica e sociale che si traduce in uno Stato di Necessità . Con le iniziali maiuscole. Un modello di governo e di alleanza politica-parlamentare divenuto regola, più che eccezione, in Italia. Visto che il governo guidato da Letta appare, per molti versi e con alcune distinzioni, la prosecuzione di quello guidato da Monti. Una risposta alla crisi: dell’economia, ma anche della politica. All’incapacità  di costruire maggioranze omogenee e stabili in Parlamento. Perché, in effetti, anche la società  è divisa. In grandi minoranze. Così la maggioranza dei cittadini accetta e, anzi, accoglie con sollievo il “governo di necessità ”. Convinta che possa affrontare efficacemente l’emergenza economica. Riformare la legge elettorale.
Gli italiani hanno “fiducia” nel governo e ancor più nel premier, Enrico Letta. Il quale, personalmente, è valutato in modo positivo dal 63% degli intervistati. Tuttavia, ripeto, si tratta di uno “Stato di necessità ”. Dove la domanda di “soccorso” supera, di gran lunga, la convinzione di ottenere risposte concrete. Così, la maggioranza dei cittadini (59%) pensa che il governo dovrebbe proseguire la propria azione fino a concludere la legislatura. Ma, al tempo stesso, ritiene che non ci riuscirà  (56%). Perché cadrà  prima. D’altronde, le intese sono larghe, ma le affinità  elettive molto strette. Oltre il 48% degli elettori (e il 51% di quelli PD) pensa, infatti, che i partiti della maggioranza non riusciranno a governare insieme, a causa delle differenze profonde che li separano. Da ciò il rischio, già  evocato: che questo governo si appoggi su intese larghe, ma poco solidali. Anche perché fra gli “alleati” c’è reciproca sfiducia o comunque diffidenza verso l’altro. D’altronde, circa un terzo degli elettori ritiene che questa esperienza favorisca il PD mentre una quota di poco superiore (38%) pensa il contrario. Che sia il PdL ad avvantaggiarsi. Si tratta di una considerazione che divide, all’interno e in misura molto simile, entrambi gli elettorati. Uniti per necessità  assai più che per condivisione. Gli orientamenti di voto, comunque, dimostrano che, fin qui, sia il PdL ad essere cresciuto di più, nel dopo- voto. Oggi è il primo partito, con il 26,6%. Mentre il PD è scivolato al 25%. Il M5S è sceso di poco, attestandosi intorno al 23%. Il M5S, d’altronde, alle elezioni ha intercettato una componente significativa di elettori incerti e insoddisfatti, provenienti dalle due maggiori coalizioni. Oggi, quegli elettori si sono, in parte almeno, rifugiati nella zona grigia dell’astensione, dell’indecisione. In attesa della prossima scadenza, della prossima occasione.
È, peraltro, chiaro come Silvio Berlusconi abbia recuperato immagine e credibilità . È, infatti, risalito quasi al 30%, nella fiducia degli elettori. Il livello più elevato degli
ultimi tre anni. La graduatoria dei leader, in base alla considerazione degli elettori, conferma il primato di Matteo Renzi. Seguito da Enrico Letta e da Emma Bonino. A conferma del gradimento di cui beneficia, almeno per ora, il governo. La posizione di Renzi è particolarmente significativa. È, infatti, il più stimato dagli italiani. E, al tempo stesso, il più “votato” dagli elettori del PD, come leader e futuro segretario. Seguito, di lontano, da Letta e, a distanza ancor superiore, da Barca, Chiamparino, Civati ed Epifani (destinato a traghettare il partito fino al prossimo congresso).
Peraltro, la sindrome della dissoluzione che, in questa fase, si respira nel PD, non corrisponde all’orientamento dei suoi elettori. I quali, in larghissima maggioranza, rifiutano l’idea che il partito si divida. E ribadiscono la volontà  che il PD scelga il proprio segretario attraverso Primarie aperte piuttosto che attraverso procedure congressuali, rivolte alla cerchia degli iscritti e degli eletti. In altri termini: gli elettori credono ancora nel Partito Unitario del Centrosinistra. Nato dall’Ulivo. E indebolito dai conflitti e dalle resistenze che allignano nella nomenclatura e nei gruppi dirigenti. A livello centrale. Ma anche locale. Un partito che ha suscitato consenso e adesione quando si è affidato alla partecipazione. Quando si è aperto alla società  e al territorio. Quando ha saputo parlare di valori. Ma che troppo spesso se ne è dimenticato. Inseguendo il modello berlusconiano. Senza esserne capace. Oggi è alla ricerca di un leader condiviso. Matteo Renzi, però, dopo la delusione delle primarie, si nasconde.
Un altro segno di questi tempi crudi. Scanditi da un governo di necessità . Sostenuto da due partiti incerti, per ragioni diverse e opposte.
Il PdL: dipende da un Leader unico e insostituibile. Inseguito da conflitti di interessi e dai propri guai giudiziari. Il PD: sospeso e in-deciso. In attesa che il leader preferito dagli elettori (più che dai dirigenti) si decida a uscire dall’ombra.


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LA DISFATTA DI UNA POLITICA

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   ANCHE gli “eterni ritorni” alla fine non reggono l’usura del tempo. Ora Berlusconi concede il lasciapassare ai suoi giovani. Possono gareggiare liberi dall’ipoteca del padre padrone. Ma il Cavaliere non scomparirà  dalla scena, né si ritirerà  alle Bermuda. Rimarrà  a vigilare, dall’alto del suo patrimonio e del suo impero mediatico. Semplicemente, non si candida più in prima persona perché andrebbe incontro ad una sconfitta certa. E a lui non piace perdere.

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