Il nostro tempo libero, da ozio a disoccupazione

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La rivista trimestrale dell’antico e prestigioso National Institute of Economic and Social Research di Londra ha pubblicato un’analisi sull’approccio al lavoro dei britannici (non noti per essere sempre sgobboni) prima e dopo il 2008, inizio dei guai economici e finanziari del mondo. Fino a quel momento, il numero di coloro che avrebbero voluto lavorare di più di quanto già  non facessero era bilanciato da coloro che avrebbero voluto lavorare meno. Dopo il 2008, è cambiato tutto: il numero di ore che i britannici vorrebbero lavorare di più è oggi il doppio delle ore che altri vorrebbero non lavorare.
Per gli altri Paesi, questa statistica non è disponibile ma si può però immaginare che la tendenza sia simile in tutto il Vecchio Continente, di questi tempi. E suggerisce che il cambiamento nel rapporto tra gli europei e il lavoro sta scuotendo alle radici un intero modello, uno stile di vita. C’è chi lo sostiene anche con una benvenuta baldanza che stimola la discussione. Un editoriale comparso giovedì sul quotidiano Wall Street Journal era un calcio negli stinchi di questo genere. Nel commento, che partiva dalle cifre della recessione nell’Eurozona nei primi tre mesi del 2013 (meno 0,2% il Prodotto interno lordo, sei trimestri consecutivi di calo dell’economia), si ricordava che «per decenni gli europei si sono vantati del loro stile di vita superiore, che apparentemente favoriva un bilanciamento migliore tra lavoro e tempo libero». Un bilanciamento che galleggiava su denaro preso a prestito da parte dello Stato, su un Welfare State troppo costoso.
Fin qui un’analisi conosciuta. L’elemento doloroso stava nella frase successiva: «Ora che il nuovo stile di vita europeo troppo spesso equivale a tempo libero forzato dalla disoccupazione di lungo periodo, specialmente tra i giovani, potrebbe essere tempo di riconsiderare gli assunti di vecchia data». La novità  sta nel fatto che — dal punto di vista di una buona parte dell’establishment degli Stati Uniti — dopo la crisi il dibattito mai sopito tra modello di vita e di lavoro americano e modello europeo si è risolto a favore del primo. Il Vecchio Continente, con una disoccupazione sopra il 12% dovrebbe ricostruire il proprio modo di essere, se vuole tornare a competere sui mercati internazionali.
L’analisi è un po’ sommaria, probabilmente. Dal punto di vista dei numeri, però, è vero che gli americani lavorano di più. Il tasso di partecipazione alla forza lavoro — il rapporto tra il numero di uomini e donne con più di 15 anni che si considerano lavoratori e il totale della popolazione — è di quasi il 77% in America (dati Ocse riferiti al 2011) contro poco più del 71% in Europa. E in alcuni Paesi la differenza è notevole: in Italia siamo appena sopra al 63%. Meno significativi, invece, i dati sulla lunghezza dell’orario di lavoro. Negli Stati Uniti si lavora in media 1.787 ore all’anno (ancora dati Ocse), in Italia 1.774, in Germania 1.413. Questi ultimi sono numeri che dicono poco, la lunghezza del tempo in fabbrica o in ufficio dipende dal livello tecnologico: se vuoto una piscina con una pompa impiegherò un’ora, con un secchio un giorno. Tanto che in Grecia si lavorano in media 2.032 ore l’anno e in Messico 2.249. Nel complesso, però, non ci sono dubbi: per decenni l’Atlantico ha diviso in due il modo di intendere il rapporto tra tempo di lavoro e tempo di non-lavoro. Quando la Francia decise di introdurre la settimana lavorativa di 35 ore, l’America rimase allibita, era la prova che gli europei preferiscono scambiare reddito per più vacanze. Piacere contro dollari, amore per la vita da caffè contro puritanesimo. O, se non si vuole la spiegazione culturale, sono le tasse più alte in Europa che rendono meno vantaggioso lavorare troppo (teoria del Premio Nobel Edward Prescott, americano) assieme ai mercati del lavoro più rigidi e sindacalizzati (teoria sostenuta dall’economista di Harvard Alberto Alesina). Fatto sta che il problema si pone ora per noi europei, gelosi del Welfare State e delle garanzie sugli orari di lavoro e sulle vacanze. L’idea che il tempo libero venga prima del tempo di lavoro non trova patria altrove, in America come in Asia. Si sta affermando la convinzione che quello europeo sia un modello che punisce la crescita e spinge il debito degli Stati. Così, il resto del mondo ci chiede se sono vacanze o è disoccupazione?


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