Cinquestelle, gaffe anti «pianisti» E sulla giunta per le elezioni è lite

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ROMA — Tutti contro tutti. Non si è ancora spenta l’eco della clamorosa defezione di due deputati, Alessandro Furnari e Vincenza Labriola, che un senatore, Mario Giarrusso, si autosospende dal gruppo (per poi ripensarci e dimettersi «solo» dalla giunta per le elezioni) e lancia accuse di fuoco sui «berlusconiani infiltrati». Il dissenso si allarga, somma insofferenze personali, smanie psicologiche, smarrimenti, fraintendimenti, diverse visioni politiche. Un Movimento sull’orlo di una crisi di nervi, che si dà un gran da fare in Parlamento, propone, discute e denuncia, ma incappa anche in incidenti da eccesso d’antagonismo, come la questione dei «pianisti».
Il caos a Palazzo Madama comincia quando sul sito del Senato del Movimento 5 Stelle vengono caricati video in cui sarebbero al lavoro «pianisti», ovvero senatori che votano al posto di altri. Finiscono nel mirino Roberto Formigoni, Carlo Giovanardi e Lucio Malan (Pdl). Quest’ultimo protesta e dimostra la sua innocenza. Il presidente Pietro Grasso chiede conto della paternità del sito e ricorda che sono vietate le riprese in Aula. Dal blog si fa sentire Beppe Grillo (che in serata ha subito una piccola contestazione a Pomezia): «L’anomalia sono i pianisti, non chi li smaschera. Ci aspettavamo un elogio dal presidente Grasso».
Ma a questo punto entra in scena Vito Crimi, capogruppo uscente M5S. Che si scusa con Malan. Gesto che non piace a molti, tra i quali Giarrusso, tra i più accesi accusatori di Malan. Succede anche un’altra cosa. C’è la prima riunione della giunta per le elezioni, quella nella quale l’M5S vuole votare per l’ineleggibilità di Berlusconi. Si elegge presidente Dario Stefano, di Sel. Il Movimento ha deciso di votare Giarrusso, per contestare «gli accordi sottobanco tra maggioranza e finta opposizione». Ma all’avvocato siciliano arrivano solo tre voti. Ne manca uno, pesante: Crimi, assente («mi sono perso», dirà poi). Il vulcanico Giarrusso si infuria. Incrocia Crimi e all’accenno di abbraccio di quest’ultimo, lo schiva e gli dice «vai, vai». Poi dichiara di essersi autosospeso e avanza sospetti pesantissimi: «Dopo quattro mesi trascorsi a fare casino sull’ineleggibilità di Berlusconi, abbiamo un nostro candidato e il capogruppo non si presenta? Traete le conclusioni». In sostanza, sospetta: ottenuta la Vigilanza Rai (a Fico), qualcuno favorisce la desistenza sull’ineleggibilità di Berlusconi. Giarrusso aggiunge: «Stefano è un infiltrato di Sel che viene dall’Udc. Ma ci sono mele marce anche nel Movimento e se ne devono andare. Il disastro è anche colpa nostra». Più tardi ridimensionerà le sue frasi: »Le incazzature passano». Ma non sfugge il riferimento alle «mele marce», stesso termine che usò Crimi per riferirsi ai «dissidenti». Lo scontro si inserisce anche in quest’ottica. Perché c’è un’ampia area di disagio nel Senato. Martedì (con lo streaming) si elegge il successore di Crimi. I «duri e puri» premono per Nicola Morra. I «dialoganti» sono per Luis Alberto Orellana. Al primo turno, Morra ha preso 19 voti, Orellana 17. Molti consensi sono arrivati a Giarrusso e a Lorenzo Battista, tra i più insofferenti al clima.
Intanto Beppe Grillo prova a mettere una pezza. Contraddice la linea dura e telefona a Furnari. Lo blandisce e gli chiede di posporre l’annuncio dell’addio. Gesto di ricomposizione? Non proprio, perché il voto è dietro l’angolo e Grillo non si può permettere un altro caso, proprio in Puglia. Furnari temporeggia, ma lui e la Labriola hanno già deciso. Non saranno gli unici a uscire, anche se gli altri «dissidenti» della Camera ora prendono le distanze: «Noi non c’entriamo con loro, noi i soldi li restituiamo tutti». Riferimento alla vexata quaestio della diaria (la restituzione avverrà entro dieci giorni).
Ma i fronti del dissenso si moltiplicano. Molti senatori chiedono il «voto ponderato». «Siamo la metà e più anziani — dice uno di loro — il nostro voto deve contare doppio». Uno vale due. Proposta destinata a non passare: servirebbe, per il varo, il voto ponderato.


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  DUNQUE, le Larghe Intese non moriranno per l’Imu. Non è ancora escluso che possano «morire per il Twiga», come vorrebbero le pitonesse del Pdl, sempre pronte a immolare se stesse e l’Italia sull’altare della decadenza e dell’incandidabilità del pregiudicato Silvio Berlusconi. La cancellazione totale dell’imposta sulla prima casa per il 2013 è un compromesso che allunga la vita del governo.

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