Giovannini: credito alle imprese In campo le Casse Depositi Ue

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ROMA — Ministro, finito tutto? «Finito? Ora comincia tutto». Il titolare del Lavoro, Enrico Giovannini, è appena entrato in macchina al termine del vertice con i ministri di Germania, Francia e Spagna e, dopo l’ultimo bilaterale con la collega tedesca Ursula Von der Leyen, risponde al telefono sui risultati del vertice. La battuta sul lavoro che comincia ora testimonia la soddisfazione del ministro per il quadrangolare romano. «È iniziato un processo che continuerà. Il successo della riunione, che io stesso avevo proposto a maggio, è testimoniato dal fatto che abbiamo concordato di rivederci prima del G20 del 19 luglio». I cittadini però si aspettano risultati concreti e rapidi. Anzi era stato lo stesso presidente del Consiglio, Enrico Letta, qualche giorno fa a promettere che questi ci sarebbero stati. Giovannini ne elenca sinteticamente quattro.

1) L’orientamento a convogliare le risorse della Bei, la Banca europea degli investimenti, ricapitalizzata, sulle piccole e medie imprese strette dalla morsa del credit crunch. 2) La volontà comune di raggiungere uno «stretto coordinamento» fra le rispettive casse depositi e prestiti nazionali, affinché cooperino con la Bei nella concessione di finanziamenti per le imprese che creano lavoro. 3) L’orientamento a concentrare le risorse dei fondi strutturali europei sugli incentivi all’occupazione: «Ci si presenta l’opportunità storica di poter concentrare nel 2014 i fondi restanti del vecchio programma 2007-2013 con quelli nuovi del programma 2014-2020 con lo sblocco delle risorse per lo Youth guarantee, il programma europeo da complessivi 6 milardi per dare ai giovani un’opportunità di lavoro o di formazione», programma che attualmente è previsto su un arco di sei anni 2014-2020 e che, insiste Giovannini, «bisogna accorpare in un paio d’anni». 4) Infine, collegato a quest’ultimo punto, spiega il ministro, c’è l’impegno a «migliorare l’efficacia e soprattutto l’efficienza dei centri per l’impiego». Qui l’Italia, è inutile nasconderlo, «è indietro», soprattutto rispetto alla Germania. Va detto però, aggiunge l’ex presidente dell’Istat, che i tedeschi per il collocamento «spendono 5 miliardi di euro contro i 500 milioni dell’Italia e che, per esempio, nel Regno Unito ci sono 100 mila addetti ai servizi per l’impiego mentre da noi solo 6mila». Significa allora che si faranno massicci investimenti per recuperare il gap? Purtroppo no, spiega Giovannini, perché «non si può risolvere la situazione overnight», in una notte. Tanto più che restano tutti i vincoli di bilancio da rispettare, in particolare l’impegno a non avere un deficit superiore al 3% del prodotto interno lordo. Per i servizi all’impiego, quindi, «si metteranno a sistema tutte le informazioni disponibili per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro», nella consapevolezza che già sarebbe un buon risultato, anche se poi certo «non basta finalizzare un curriculum, ma bisognerebbe fornire un servizio di orientamento personalizzato a chi cerca un lavoro».

Eccolo il paradosso davanti al quale l’Italia più di altri si trova: da una parte una montagna di soldi che sembrano disponibili (basti pensare ai 30 miliardi di fondi strutturali e cofinanziamenti nazionali da spendere entro il 2015) e dall’altra la necessità di procedere con i piedi di piombo: «Non è che domani mattina possiamo decidere di mettere 10 miliardi su un determinato intervento e sfondare così il tetto del 3%». Ma allora non c’è stato alcun allentamento delle rigidità del governo tedesco? «Lasci stare la Germania – taglia corto il ministro – . Guardiamoci in casa e concentriamoci su un fattore decisivo per far ripartire la crescita». Quale? «Le aspettative», non ha dubbi l’economista Giovannini: «Quante imprese vorrebbero investire ma sono bloccate dalla difficoltà di ottenere credito e dall’incertezza sul futuro. Quante famiglie tra quelle che non sono state duramente colpite dalla crisi tengono però i cordoni della borsa chiusi in attesa di un cambiamento di clima. Ecco, noi, col vertice di oggi e con il Consiglio europeo di fine mese dobbiamo determinare questo cambiamento di clima». Certo, con un decreto legge che verrà approvato prima ci saranno anche gli sgravi sulle assunzioni dei giovani, misura sulla quale il ministro non vuole dire nulla, «perché stiamo ancora discutendo». Ma in ogni caso «se si pensa che la ripresa dipenda solo dalla spinta del settore pubblico, si fa un grave errore e si sottostimano le potenzialità del settore privato». Che deve tornare a investire.

Enrico Marro


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