Gli 007 italiani: «Scambi limitati» Ma la legge può essere aggirata

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ROMA — La falla può essersi aperta grazie agli accordi bilaterali siglati dall’intelligence nella lotta al terrorismo. È il sistema più semplice, probabilmente anche più sicuro, per il passaggio di informazioni riservate sui cittadini italiani e sulle loro comunicazioni telefoniche e informatiche. Ma i vertici dei servizi segreti italiani escludono che questo possa essere accaduto «in maniera generalizzata». Spiegano che la trasmissione dei dati sensibili avviene soltanto «in casi particolari e seguendo le procedure previste dalla legge». In realtà, andando oltre l’ufficialità, si scopre che lo scambio con gli 007 statunitensi è costante perché esistono svariati modi per aggirare gli ostacoli legislativi oppure utilizzando le pieghe delle norme esistenti.

Proprio di questo si occuperà nei prossimi giorni il comitato parlamentare di controllo sull’attività degli apparati di sicurezza. Indagine conoscitiva che difficilmente consentirà di confermare il sospetto rilanciato in queste ore su una collaborazione del nostro Paese che va ben oltre i limiti stabiliti. Ma certamente potrà evidenziare quei punti deboli che rischiano di vanificare i divieti. E uno viene individuato dagli esperti in quel decreto firmato dall’ex presidente del Consiglio Mario Monti il 24 gennaio scorso.

Il provvedimento consente all’intelligence di firmare convenzioni per accedere alle banche dati di società private che operano in concessione «nei settori nevralgici dell’energia, dei trasporti, della salute, del credito bancario, delle telecomunicazioni». L’obiettivo dichiarato è quello di «rafforzare la protezione cibernetica e la sicurezza informatica nazionali» tanto che le società hanno l’obbligo di avvisare il Dis — il Dipartimento che coordina l’attività delle due agenzie Aisi e Aise — «riguardo a eventi di natura cibernetica quali attacchi o tentativi di violazione dei propri sistemi informatici». Inoltre ogni accesso deve essere registrato e comunicato proprio al Copasir.

Il problema è però il rispetto di queste direttive, perché il rischio evidente è che in realtà proprio l’attività di prevenzione possa servire poi a giustificare la cessione di informazioni riservate. Ecco perché si sta valutando la possibilità si apportare alcune modifiche inserendo filtri per evitare eventuali distorsioni. Anche tenendo conto che nell’elenco di chi ha già firmato ci sono aziende come Telecom, Finmeccanica, Agenzia delle Entrate, Enel, Eni, Alitalia, Ferrovie dello Stato, Poste e tutte insieme possono disegnare le abitudini di ognuno di noi avendo il quadro esatto di consumi, spostamenti, contatti, accessi a Internet. Non a caso il garante della privacy Antonello Soro ha espresso perplessità su questo decreto — che non è mai stato sottoposto alla valutazione del suo ufficio. Una linea che al momento non trova sponda a livello governativo, ma che potrebbe invece essere condivisa qualora ci fossero ulteriori rivelazioni sui rapporti tra il nostro Paese e gli Stati Uniti.

Sia l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini, sia l’ex titolare della Difesa Ignazio La Russa escludono che possano essere mai stati consegnati «dati personali sui cittadini ad altri Stati, ma anche che possa esserci stata una raccolta a livello interno non controllata attraverso la magistratura». Ben diverso è il discorso che riguarda eventuali «controlli» in materia di sicurezza nazionale che possano aver riguardato personalità straniere o scenari di rischio come quelli dell’Iraq e dell’Afghanistan, ma più recentemente anche della Libia, della Turchia e del Nordafrica. Perché in questo caso la collaborazione dei nostri 007 nei confronti degli Stati Uniti è totale, giustificata da un impegno comunque che riguarda non soltanto la lotta al fondamentalismo islamico in maniera stretta, ma anche il monitoraggio dei flussi dell’immigrazione clandestina da sempre ritenuti veicoli per l’ingresso in Europa di persone o gruppi pericolosi.

Per questo non desta grande scalpore l’ipotesi che alcuni diplomatici possano essere stati spiati «soprattutto se facciamo riferimento a esponenti di governi non ritenuti «amici» e dunque nei confronti dei quali è doveroso raccogliere la maggiore mole di informazioni possibili». Non a caso viene evidenziato quanto accaduto durante la fase finale del regime del colonnello libico Gheddafi «quando l’attività degli 007 italiani si è intrecciata costantemente con quelli degli Stati Uniti e di altri Paesi alleati e ha riguardato anche lo scambio di informazioni riservate e soprattutto ottenute in tutti i modi possibili. Una procedura di sicurezza per uno scenario di altissimo rischio». E che certamente non può essere paragonata a quella relativa ai dati personali di privati cittadini.

Fiorenza Sarzanini


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