Morsi e i «suoi» agli arresti Il pugno dell’esercito sui Fratelli musulmani

Loading

IL CAIRO — La parola d’ordine è ora non perdere tempo: accelerare la transizione per dimostrare al popolo e al mondo che quello di mercoledì non è stato un golpe, garantire la sicurezza per evitare reazioni della Fratellanza sconfitta e umiliata che per oggi promette un venerdì di proteste, portare finalmente il Paese sulla via della normalità. All’indomani della plateale deposizione del raìs Mohammed Morsi da parte del capo dei generali Ahmad Fatteh Al Sisi sostenuto dall’opposizione e dai leader religiosi, a soli cinque giorni dall’esplodere della Ribellione con milioni di persone che urlavano «vattene» al presidente, l’Egitto sembra essersi risvegliato dal caldo e dalla tradizionale lentezza, la strategia nazionale del «bukra inshallah», domani se Dio lo vorrà, pare svanita di colpo.

Già la destituzione di Morsi era avvenuta in tempi record. Ieri il nuovo presidente ha giurato. Il rispettato capo dell’Alta corte Adly Mansour ha salutato i giovani che hanno «corretto il cammino delle gloriosa rivoluzione del 25 gennaio 2011», promettendo la «riconciliazione tra le forze politiche» compresa la Fratellanza se lo vorrà, anche se ne è già noto il rifiuto. Parole che in parte hanno riecheggiato quelle sentite dal fronte anti-Morsi, così come il nuovo raìs è un’emanazione di quelle forze e rimarrà in carica solo fino alle elezioni. A breve è atteso un suo proclama con dettagli e forse date della roadmap di transizione, dopo i passi già compiuti nelle ultime ore: la sospensione della Costituzione della Fratellanza e lo scioglimento del Senato, l’unica camera finora funzionante. Riunioni serrate intanto si sono tenute per formare un governo ad interim, alcuni ministri sarebbero stati decisi ma sul premier non c’è ancora accordo. Mohammad ElBaradei avrebbe respinto l’incarico, anche per l’opposizione dei salafiti di Nur unitisi al fronte anti-Morsi. I nomi che circolano ora sono di tecnici puri.

Dopo i blitz della notte precedente — tra cui l’oscuramento delle tv della Fratellanza o a lei vicine tra cui il canale egiziano di Al Jazeera — il cerchio ha continuato a stringersi velocemente intorno al movimento e al partito che per un anno hanno guidato l’Egitto. Morsi è stato trasferito al ministero della Difesa, agli arresti e senza possibilità di comunicare (solo un video ripreso da un cellulare l’ha mostrato rivendicare «sono io il presidente legittimo»). Nella prigione di Tora, la stessa dove si trova Mubarak, sono stati incarcerati Saad El Katatni, capo del braccio politico della Confraternita, Giustizia e Libertà, e altri leader. Soprattutto, la guida spirituale Mohammad Badie, forse il più odiato dalla piazza, è stato arrestato vicino al confine libico. Ricercato è invece il vero uomo forte dei Fratelli, Khayrat Al Shatir, che controlla tra l’altro le enormi finanze del movimento. Ai Fratelli furiosi e indeboliti sono rimasti alcun presidi al Cairo e altre città, accerchiati dai militari. E la speranza che oggi il «Venerdì del rifiuto» indetto contro il golpe di Al Sisi e alleati porti in piazza le folle su cui la Fratellanza ha finora contato. Ma dal canale di Suez al Delta, dall’Alto Egitto alle aree intorno alla capitale, l’esercito in poche ore ha dispiegato uomini e mezzi, bloccando le strade principali, molti ponti, pronto a tutto. Con la leadership agli arresti o in fuga, si temono nuove violenze e morti della base, dopo i quasi 50 registrati negli ultimi giorni. «E’ un golpe che non accettiamo, ma non prenderemo le armi», ha dichiarato ieri mattina Mohammad El Beltagy, uno dei pochi capi della Fratellanza rimasto in circolazione. Ma non tutti gli credono: due giorni fa era stato lui a chiamare «al martirio in difesa della legittimità».

Un allarme sensibile è stato espresso dalla comunità internazionale, per quanto divisa nel valutare gli eventi. America, Gran Bretagna e l’Onu hanno espresso preoccupazione e chiesto il più rapido ritorno a un governo civile. Paesi come la Tunisia e la Turchia hanno condannato la deposizione di Morsi esplicitamente. I Paesi del Golfo, a partire dall’Arabia Saudita, hanno invece salutato la fine dell’era Morsi, insieme alla Siria contro cui l’ex raìs aveva chiamato perfino alla jihad.

Eppure tutto questo alla maggioranza degli egiziani sembrava ieri secondario: preoccupati sì, ma soprattutto felici e con voglia di festa. Mentre i mercati finanziari e la valuta schizzavano in alto, la gente ha iniziato a riempire Tahrir, con i soliti fuochi d’artificio e i canti patriottici. Molti negozi hanno riaperto, le auto e i clacson sono ricomparsi in strada. Perfino il sit-in degli artisti contro la censura islamica al ministero della Cultura dopo 28 giorni si è disciolto. La gente si incontra e si abbraccia, dice «è finita». E saluta gli stormi di aerei militari, alcuni con fumate tricolori rosso bianco e nero, che a più riprese sono passati sulla capitale. Non solo quelli però: anche elicotteri da guerra Apache si sono fatti vedere. Un segnale chiaro e forte dai generali che qui non è ancora davvero finita.


Related Articles

Il Nobel per la pace a Muhammad Yunus

Loading

L’economista bengalese ha fondato la Grameen Bank e “creato sviluppo sociale dal basso”

Le tappe per arrivare alla convention di Tampa

Loading

Fitto il calendario prima di arrivare alla convention del 27 agosto a Tampa, in Florida, in cui verrà  incoronato l’anti-Obama, ovvero colui che sfiderà  il presidente a novembre. 

Nicaragua, i giorni pericolosi della paura

Loading

Oltre 300 mila persone hanno partecipato alla Marcia delle Madri, sfilando con chi ha perso un figlio per mano della brutale repressione

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment