Eccezioni alle regole, ma su misura per facilitare le opere dei grandi eventi

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ROMA — Flessibilità sul misura, quasi sartoriale, tailor made. L’accordo per l’Expo 2015 impedisce una nuova guerra ideologica sul lavoro, rompe qualche piccolo tabù, innova o deroga (a seconda dei punti di vista o del linguaggio) alcune regole generali contenute nelle leggi o nei contratti nazionali. Non perdono i sindacati che evitano così di essere scavalcati dalla politica che con l’ipotesi di un decreto legge avrebbe potuto scardinare diversi aspetti della contrattazione, ma non escono sconfitte nemmeno le imprese che, infatti, incassano (per quanto dalle parti della Confindustria nazionale qualche mugugno si sia sentito) un precedente da far valere sui prossimi tavoli negoziali. Il governo Letta supera un potenziale braccio di ferro Pdl-Pd, dagli esiti imprevedibili, su un tema socialmente esplosivo come il lavoro. Il che spiega il giudizio positivo del premier e del suo ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, i quali implicitamente avevano chiesto proprio alle parti sociali di togliergli le castagne dal fuoco. La prossima settimana (martedì 30 luglio) Cgil, Cisl, Uil, Confindustria e le altre associazioni imprenditoriali andranno al ministero del Lavoro per cominciare il confronto su scala nazionale. C’è tempo fino al 15 settembre per l’accordo. Ma — dopo l’intesa di ieri a Milano — la strada sembra in discesa. Quasi in una sorta di “pacificazione” delle relazioni industriali.
Dunque sarà un modello Expo 2015? Sì. Perché di fronte alle esigenze di un grande evento, in un luogo specifico, per un tempo preciso (la “griglia” indicata da Giovannini), tanto più con un tasso di disoccupazione ormai al 13 per cento, i sindacati e le imprese hanno dimostrato che si possono cambiare le regole del gioco. Questa è la vera novità.
La partita più delicata ha riguardato i contratti a termine, strumento tipico per affrontare una nuova attività, perlopiù delimitata nel tempo. Confindustria, con la sponda del Pdl (l’ex ministro Maurizio Sacconi aveva già preparato un emendamento al “decreto lavoro”) puntava a una marcata deregulation: tre anni di contratti a termine senza specificare le casuali su tutto il territorio nazionale, con la possibilità per le aziende di rinnovarli fino a sei volte per una durata massima di 36 mesi. L’Expo sarebbe stato il cavallo di Troia per una modifica strutturale dei contratti a tempo determinato. Questa linea non è passata. Ne è passata un’altra, decisamente più soft. L’acausalità, come si chiama in gergo sindacale la mancata indicazione del motivo per cui si sottoscrive il contratto a tempo, è stata mascherata con un’unica casuale generica che nei fatti è lo stesso Expo anche se nel protocollo la formula appare più complessa e anche nebulosa. Si potrà ricorre a contratti a termine fino all’80 per cento dell’organico. E con la casuale Expo potranno durare da un minimo di 6 mesi (una deroga rispetto al principio generale) a un massimo di 12 mesi. Una quota dei contratti a termine (il 10 per cento) sarà riservata a lavoratori in cassa integrazione, in mobilità o disoccupati. Quindi non solo i giovani ma anche lavoratori maturi che abbiano perso il lavoro. Una formula facilmente estendibile proprio per la gravità della recessione.
Arriva pure un mini-apprendistato, cioè con una durata inferiore (da un minimo di sette mesi a un massimo di un anno) rispetto ai 3/4 anni regolari. E per questa soluzione sono stati individuate tre nuove specifiche figure professionali di sbocco per i giovani apprendisti. Un escamotage contrattuale facilmente adattabile ad altri eventi.
Applicando l’accordo quadro Stato-Regioni, sono previsti tirocini formativi della durata di sette mesi, che saranno retribuiti (516 euro mensili, l’accordo quadro fissa un minimo di 400) prevedendo pure un buono mensa (5,29 euro al giorno).
L’accordo sarà applicato innanzitutto nell’area dell’Expo. Pur non essendo del tutto chiaro l’indotto potenziale, sembra scontata un’esigenza di maggiore flessibilità, che si tradurrà in più turni di lavoro, nel trasporto regionale. Mentre il contratto nazionale del turismo, senza alcun adattamento, dovrebbe essere già in grado, visto l’alto tasso di flessibilità che contiene, di affrontare (in questo caso su tutto il territorio nazionale) le eventuali esigenze delle imprese che lavoreranno con l’Expo.


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