Egitto, il presidente prigioniero e la mediazione della Ashton

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Novità rilevante per la responsabile della politica estera dell’Unione Europea è però stato l’incontro con il presidente deposto Mohamed Morsi e due suoi consiglieri ieri prima dell’alba nella loro cella in una base militare segreta nel mezzo del deserto. Il primo incontro di Morsi dal suo arresto il 3 luglio con una persona diversa dai suoi persecutori. Neppure i famigliari lo hanno mai visto.

«Morsi sta bene. Abbiamo parlato apertamente e con franchezza per due ore. Lui è informato degli ultimi fatti. Gli è permesso di seguire le notizie in cella dalla televisione e dai giornali» ha spiegato la Ashton, rifiutandosi peraltro di rivelare alcun dettaglio politico del loro colloquio. Una missione estremamente delicata la sua. Dalle grandi manifestazioni di piazza organizzate con il sostegno dell’esercito dai movimenti e partiti critici nei confronti del governo dei Fratelli musulmani, seguite dalla deposizione di Morsi, è questa la seconda volta che la Ashton torna al Cairo. «La diplomazia europea, al contrario di quella americana, è vista come neutrale in Egitto» spiegano i suoi consiglieri. Già il 17 luglio aveva chiesto di incontrare il presidente deposto. Ma era stato lo stesso generale Abdul Fattah Al Sisi, uomo forte del nuovo governo di transizione, a negarle il permesso per evitare che ciò potesse in alcun modo legittimare Morsi come partner necessario per risolvere la crisi.

Negli ultimi due giorni comunque le è stato spiegato con chiarezza che nulla è mutato. Al Sisi, assieme al presidente ad interim Adly Mansour, il suo vice Mohamed El Baradei e il resto dei nuovi dirigenti del Paese, escludono a priori qualsiasi ritorno al potere di Morsi, anche se solo temporaneo e simbolico per organizzare un referendum. «Morsi ha fallito, la sua rimozione costituisce una correzione della strada imboccata dall’Egitto dopo la deposizione di Hosni Mubarak nel febbraio 2011» ha tagliato corto lo stesso El Baradei. La speranza è piuttosto che l’Europa possa aiutare a evitare esplosioni di violenza simili a quelle che nella notte tra venerdì e sabato scorso hanno insanguinato le piazze del Paese con decine di morti e centinaia di feriti. Tuttavia mancano gli spazi negoziali. All’intransigenza mostrata delle nuove autorità al potere, i Fratelli musulmani replicano con altrettanta durezza e chiedono l’immediata restaurazione di Morsi al suo posto. Ieri sera sono tornati a chiedere alle folle di manifestare «contro il colpo di Stato ed il ritorno alla legittimità» rilanciando la sfida aperta ai militari. «In realtà per il momento le possibilità che si torni alla violenza sono molto più alte che non una soluzione pacifica» sostengono negli ambienti diplomatici europei al Cairo dopo aver incontrato la Ashton. Qui si sottolinea che tra le tante difficoltà per i Fratelli musulmani ora c’è anche quella dell’impossibilità di elaborare una linea politica unitaria. L’arresto nell’ultimo mese di una trentina tra i loro massimi dirigenti e di oltre 600 militanti di punta ha decapitato il movimento, che ha deciso di reagire rilanciando le mobilitazioni di piazza che puntualmente sono riprese nella tarda serata di ieri.

Lorenzo Cremonesi


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