E nel partito di Epifani c’è già chi prevede una spaccatura del Pdl

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ROMA — Non è ancora un «piano» e non c’è ancora una «strada». Ma è senz’altro l’indicazione di un sentiero che può aprirsi. «A settembre». «Il voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi è quasi un atto notarile. È tutto già deciso anche perché la legge anticorruzione, sul punto, è chiarissima», è la premessa del senatore del Pd Felice Casson. Ma l’ex magistrato, che è membro della giunta per le autorizzazioni di Palazzo Madama, si spinge oltre: «Dentro il centrodestra è in corso un evidente gioco a sfasciare. Anche perché, più si andrà avanti più la situazione personale di Berlusconi si complicherà. Fino ad ora stanno tutti col Cavaliere. Ma adesso è estate, vediamo che cosa succede a settembre. Perché — aggiunge sempre Casson — se è vero che la linea del Pdl diventerà il ritorno alle urne, è altrettanto vero che tra di loro, secondo me, c’è un gruppetto che non si ritrova in questa posizione. Un gruppetto più o meno grande…». Di più Casson non dice. Ma l’ex magistrato è forse il primo esponente politico ad adombrare l’ipotesi che un pezzo dei senatori del Pdl possa anche divincolarsi dall’aut aut di Arcore e confermare «a prescindere» la fiducia al governo Letta.
Non ci sono «piani» e neanche «strade». Ma con quel «sentiero» qualcuno, nel Pd, sta già facendo i conti. Non si spiegherebbe altrimenti il modo in cui i Democratici ostentano sicurezza sulla tenuta del governo e, contemporaneamente, considerano «definitivamente chiusa» — come ha ribadito il capogruppo alla Camera Roberto Speranza al Tg3 — la faccenda sulla decadenza di Berlusconi.
Il tema di come proteggere il governo Letta ed evitare le elezioni anticipate, in casa Pd, si pone anche sul fronte del congresso. Il lettiano Francesco Boccia ha preparato una mozione di sostegno al governo, un documento che rimarrà «aperto» fino a un’assemblea in programma a settembre a Sassano, a cui saranno invitati tutti i candidati alla segreteria. Il testo sarebbe già stato sottoscritto da una trentina di parlamentari, quasi tutti giovani ed eletti con le primarie: da Marianna Madia alla calabrese Stefania Covello, dall’abruzzese Antonio Castricone ai piemontesi Stefano Esposito ed Enrico Borghi, fino alla campana Michela Rostan. E in marcia d’avvicinamento ci sarebbero anche i «non allineati» di cui fa parte l’ex bersaniana Alessandra Moretti.
Nella bozza del documento («Italia riformista, la sinistra che governa») si parla dell’«Italia salvata da Napolitano». Serve, si legge, «un partito che abbia il coraggio di riconoscersi chiaramente nel governo Letta, assumendosene la responsabilità politica di guidarlo».
Nella mozione si elencano anche degli errori del passato («Uno su tutti, il conflitto d’interessi di Berlusconi») e si citano Moro, Berlinguer e papa Francesco. Ma i punti chiave sono due. Quello in cui si legge che la «new left nasce già vecchia» e quello in cui si certifica che «il Pd, oggi, appare spesso come un partito conservatore». Nonostante sia una mozione «governista» e aperta a tutti i candidati, qualcuno già pensa che sia un «ponte» verso Renzi. O, addirittura, l’ultimo appiglio per trovare un «accordo» tra il premier e il sindaco di Firenze. Anche perché, tra le righe, ci sono idee non distanti dagli argomenti del rottamatore. Come quella sul fatto che «è inconcepibile pensare e ripensare esclusivamente alle vecchie direzioni e assemblee di partito».
Tommaso Labate


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