«Il Grande Gioco dei sunniti contro l’Iran»

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L’opposizione a Bashar Assad sembra aver compattato, fatto raro se non inedito, tutti i Paesi arabi nel voler dare al raìs di Damasco una lezione «seria e decisa», come ha dichiarato ieri Riad e ha concordato in sostanza la Lega araba. Ma per Olivier Roy, politologo francese e tra i maggiori esperti di Islam, docente all’Istituto universitario europeo di Firenze, la realtà è più complessa. E la spaccatura tra sunniti e sciiti di cui tanto si parla nasconde altre divisioni e molti rischi. Eppure, alla vigilia di un probabile attacco a Damasco, i Paesi sunniti sembrano aver trovato un’unità. Politica o religiosa?
«All’inizio esisteva un’opposizione comune politica all’Iran, considerato il nemico numero uno per la sua volontà di imporsi come grande potenza geostrategica e i suoi appelli alle piazze arabe a rivoltarsi contro i loro regimi, dal Bahrain all’Iraq. Ma la creazione di un asse comprendente sciiti e “cripto-sciiti”, come gli alauiti in Siria, ha trasformato l’opposizione tra arabi e persiani in una guerra tra fedi dell’Islam, con la nascita di un asse sunnita. Da geopolitica la guerra è diventata religiosa, e tutti gli sciiti sono ora sospettati dai sunniti, anche in Iraq e Bahrein dove non sono particolarmente filo iraniani. Teheran resta l’arcinemico ma il contesto è cambiato».
Da due anni all’asse sunnita si è unita la Turchia, perché?
«La Turchia prima si interessava solo all’Europa ma l’arrivo al potere dell’Akp di Erdogan e il rifiuto dell’Europa ad accoglierla hanno portato Ankara a riposizionarsi sul Medio Oriente. Ha approfittato delle Primavere arabe per sostenere i Fratelli musulmani in vari Paesi sperando in un suo ruolo di leadership nella regione, per ora fallito con la caduta di Morsi. Ma la Turchia è ormai entrata in gioco a fianco degli altri poteri sunniti».
Il fronte anti Assad è però diviso.
«Infatti, se l’asse formato da Iran, Siria, Hezbollah libanese è solido, quello opposto è estremamente fragile. Turchia e Qatar appoggiano la Fratellanza, combattuta invece dall’Arabia che a sua volta sostiene i salafiti. I liberali non vogliono né Fratelli né salafiti. L’unico elemento in comune è l’opposizione ad Assad e al suo sponsor, l’Iran. Ma la rivalità per la leadership regionale è forte soprattutto tra Arabia e Turchia».
In questo nuovo Grande Gioco, a differenza di quello tra russi e inglesi nell’Ottocento, i protagonisti sono i poteri locali. Che ruolo hanno gli occidentali?
«Un ruolo importante, perché è da loro che partirà come pare l’attacco. Ma gli occidentali non hanno una strategia, rispondono colpo su colpo, come è stato in Libia. Nemmeno i russi, contrari a un intervento, hanno una visione precisa. Questo lascerà le decisioni ai poteri e alle forze locali, tra loro divise e con elementi jihadisti. Un fatto rischioso come abbiamo visto in Libia. E con la Siria i pericoli sono maggiori: possono restar coinvolti il Libano, la Giordania, l’Iraq. Teheran potrebbe reagire colpendo i punti deboli dell’asse sunnita, con attentati in quei Paesi e nel Golfo».
Perché allora Obama sembra deciso ad attaccare?
«Non ha scelta. A differenza di Bush, che una strategia pur discutibile l’aveva, Obama in Medio Oriente non ne ha. Ma si è impegnato ad agire se Damasco avesse superato la “linea rossa” delle armi chimiche e ora non può perdere la sua credibilità. Inoltre, se per la Siria poco cambia che i morti siano dovuti ad armi convenzionali o a gas, non reagire dopo l’uso di questi ultimi è impensabile anche per la sicurezza di Israele, che non teme gli attacchi convenzionali ma quelli chimici sì. Tel Aviv per anni ha tollerato Hafez Assad e poi il figlio, nemici noti e prevedibili. Ma ora Bashar agisce al di fuori di ogni logica».
E l’Europa? Il ministro Bonino ha dichiarato che senza copertura Onu l’Italia non agirà ma gli altri governi hanno posizioni diverse.
«Il ministro Bonino ha ragione, in principio. Ma con il veto di Russia e Cina l’Onu non può approvare un’azione. E l’Europa a questo punto non ha scelta: non per seguire una strategia, che non ha, nè in nome degli ideali astratti che spesso invoca come il rispetto dei diritti umani e della democrazia. Ma per restare a fianco dell’alleato Usa».
Cecilia Zecchinelli


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