LE IMMAGINI DELL’ORRORE

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 SOFFOCATA nel suo stesso muco, prossimo fagottino bianco fra altri sudari di tutte le taglie. Qualcuno, e neppure sappiamo con assoluta certezza chi, l’ha condannata alla più atroce delle morti. E se questa morte ha evidentemente una causa, non può avere nessuna giustificazione politica o tattica.
Le videoclip e le foto che sono traboccate da quel calderone delle streghe che è la Siria di oggi raccontano una storia che non sappiamo capire fino in fondo. Illuminano una tragedia vera nella quale la sola certezza sono quella fascine di corpi a volte accatastati, altre volte fin troppo ben ordinati nel sudario bianco pronti per la sepoltura secondo il rito funebre islamico. Ma la mano, i nomi, le intenzioni dei loro carnefici sono più oscure di quanto la sfrontatezza brutale del deposta Assad, che nega tutto, e le accuse delle diverse organizzazioni ribelli, che lo accusano di tutto, dicano.
I morti parlano una lingua forte, ma oscura. I bambini in agonia, con la bocca dischiusa e la saliva che cola dalle loro labbra, sono vittime
di quel gas che quattro chimici tedeschi, Schrader, Ambros, Rüdiger and Van der Linde, crearono nel 1938 dando orgogliosamente i propri nomi, S. A. R. e IN per Linde, a quello che credevano essere un insetticida e che fu prontamente adottato da eserciti, quelli della Nato inclusi nel dopoguerra, come arma. I morti di Zamalka, Ein Terma ed Erbeen, i sobborghi di Damasco dove le fascine di cadaveri sono stati ordinatamente raccolti raccontano che qualche cosa di disumano è avvenuto.
E’ una Auschwitz a cielo aperto. Una Birkenau araba che riporta alle immagine scattate dai soldati sovietici e americani nei campi di sterminio, dopo avere ordinato alle SS catturate e ai buoni cittadini che si fingevano ignari di deporre in bell’ordine le file dei corpi. Ma se nello sterminio degli ebrei, degli zingari, degli omosessuali, degli oppositori al nazismo non ci potevano essere dubbi sugli autori, questa Buchenwald siriana ci offre la sola certezza dell’orrore. Quella teoria di sudari allineati, quei corpi disposti come traversine di una ferrovia satanica in attesa di rotaie sono strumenti di propaganda politica e militare in una guerra che tutti condannano e che nessuno fa nulla per fermare.
La domanda, quando si placano i conati di nausea che ci assalgono davanti ai bambini che le madri e i soccorritori cercano inutilmente di salvare o di alleviarne l’agonia, è quella che il dovere di osservatori da lontano ci impone: a chi servono quelle dozzine, centinaia, c’è chi dice migliaia, di morti? Servono all’esercito di Bashir al Assad, al suo clan minoritario di Alawiti che da mezzo secolo controllano la Siria per stroncare la ribellione arrivata alle porte della Capitale? E’ quello che gridano le varie fazioni dei ribelli, che hanno fatto arrivare queste foto e queste clip al mondo via YouTube. Ma il tentativo di “soluzione finale” del problema rivolta arriva proprio mentre in Siria sbarcano gli ispettori dell’Onu per attestare se Damasco usi i gas, come i ribelli affermano, e come il governo ha sempre negato. «Gli ispettori sono una pagliacciata. Assad vuole dimostrare che del mondo non gli importa nulla» dice uno dei ribelli che si fa chiamare Abu Yassin.
Servono ai rivoltosi, quei morti, quelle povere creature boccheggianti, per scuotere finalmente l’Onu, l’eterna impotente, e soprattutto gli Usa dal proprio torpore, isolare Assad e il suo ultimo, e tradizionale protettore, la Russia di oggi, come l’Urss di ieri che la usava come zampa dell’orso in Medio Oriente? I gas sono la “red line”, la linea rossa invalicabile che Barack Obama aveva tracciato, avvertendo Damasco che, se l’avesse attraversata, la risposta delle nazioni occidentali e degli Usa sarebbe stata inflessibile. Ora queste foto gridano per essere sentite a Washington e dire che la linea rossa delle armi di morte di massa, i gas, è stata oltrepassata e il regime è oltre il Rubicone. E adesso, Obama?
Se così fosse, se i racconti dei ribelli e della Coalizione nazionale che indicano anche l’ora esatta, le 14 di martedì scorso, per il lancio di proiettili con il gas su Zamalka fossero veritieri, si ripeterebbe lo scenario di Halabja, la città Kurda che Saddam Hussein bombardò con gas tossici nel 1988, uccidendo migliaia di innocenti. E diventerebbe insopportabile, indifendibile l’indifferenza del resto del mondo che tanto si era agitato per la brutalità feroce del Raìs iracheno, fino alla decisione di rovesciarlo con l’invasione. Appunto, risponde il regime, qui si vuole ripetere lo “scenario Saddam” e creare i pretesto per un’invasione.
Nella notte e nella nebbia che ha avvolto la Siria, restano quindi nitide e chiare soltanto le immagini. I bambini con gli occhi già resi inespressivi dalla mancanza di ossigeno e dalla morte imminente che parenti, infermieri, pochi medici stravolti dall’alluvione di vittime, cercando di ventilare a forza pompando aria nei loro polmoni. Rimane la macchia nera in un mare bianco di un uomo che depone con delicatezza di padre o di nonno un fagottino candido dal quale spunta il viso di un neonato scoperto per un ultimo sguardo tra altre sequenze di sudari, grandi e piccoli, prima di interrarlo. Chi? Perché? Per quale partita infernale quella bambina soffoca nel proprio muco? Da quelle immagini si sprigiona un gas che stronca il respiro di chi le guarda.


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