LO SPREAD IN SALSA SPAGNOLA

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Era un anno e mezzo che non succedeva: i Btp italiani avevano vantato a lungo una posizione migliore, almeno in parte perché sui mercati erano apparsi un investimento più sicuro.
Ieri non è stato più così. Per pochi istanti i titoli di Stato di Roma e Madrid sono stati separati da un solo punto-base di spread, una differenza di rendimento di un centesimo di punto percentuale.

A fine giornata la distanza è rimasta comunque ridottissima, solo quattro punti. E la politica, cioè la diversa capacità dei due parlamenti di approvare riforme efficaci, avrà senz’altro lavorato a fondo sulla mente degli investitori. La dimostrazione più chiara è nel percorso degli spread dalle due grandi economie mediterranee negli ultimi mesi. A inizio anno, la distanza era a 70 punti-base circa a favore dell’Italia. A inizio febbraio, anche. A inizio marzo invece lo scarto era già più che dimezzato a soli 30 punti per un motivo evidente: il 25 febbraio le elezioni avevano prodotto a Roma un parlamento paralizzato, senza maggioranze omogenee. Gli investitori hanno subito iniziato a pensare che la nave italiana, benché più solida, da quel momento in poi sarebbe stata più difficile da manovrare.
Ciò che accade in questi giorni non può dunque sorprendere: il gap Roma-Madrid che si chiude mentre il governo di Enrico Letta vacilla, è solo la conseguenza di un processo partito sei mesi fa. Non che il governo di Mariano Rajoy non debba gestire la sua forte dose di scandali, specie legati al finanziamento del Partido popular. Rojoy stesso ne è sfiorato. Eppure a Madrid non ci sono mai stati dubbi sul fatto che qualunque leader è fungibile e il sistema sarebbe andato avanti comunque.
Questa però non è una gara sportiva fra cugini: è una prova del fuoco vissuta da due delle prime dieci economie del mondo, accomunate da storia, cultura e contraddizioni. Per questo occorre chiedersi se nello spostamento delle gerarchie non ci sia per caso qualcosa oltre alla politica.
Quanto a questo, i dati raccontano solo parte della storia. Quest’anno la Spagna è in recessione come l’Italia, solo un po’ meno: Bbva, una banca, prevede una decrescita dell’1,4% contro un 1,8% circa dell’Italia. Anche fra aprile è giugno la caduta del Pil è stata di appena 0,1% per gli iberici, un po’ meglio che qui. Ma soprattutto colpiscono le tendenze di fondo, perché la disoccupazione inizia a frenare e le esportazioni spagnole crescono più in fretta. Secondo i dati Eurostat, l’export iberico nell’ultimo è aumentato (in volume) del 4,4%: quattro volte più della media europea.
La Spagna ha intercettato meglio di qualunque altro paese i flussi del turismo deviati dall’estate di disordini in Turchia o in Egitto. Il paese ha già ospitato 6,3 milioni di visitatori quest’anno, con aumenti dei consumi e, benché stagionali, anche dei posti di lavoro. E vorrà pur dire qualcosa se l’Italia stenta persino a disporre di statistiche comparabili: non si sa neanche di quanto il paese sia in ritardo sul concorrente del Mediterraneo quanto all’accoglienza di visitatori dall’estero.
Certo anche la Spagna resta paralizzata: dal debito, da un deficit del governo più che doppio rispetto all’Italia e dalla disoccupazione. Ma se c’è una differenza tra i due paesi, alla base forse è soprattutto psicologica. Socialisti o popolari, catalani o castigliani, tutti concordano almeno su una narrazione della grande crisi: l’hanno prodotta loro stessi, è stata frutto di un modello di crescita sbagliato e non solo colpa dei subprime, di Angela Merkel o della speculazione. Gli spagnoli – elettori, politici e industriali – sono coscienti che il paese deve diventare più efficiente e più istruito. E questo accordo bipartizan ha portato, per esempio, a una riforma del lavoro già capace di attrarre investimenti di Ford o di Renault.
Gli italiani in questo sono diversi. Non hanno ancora deciso se sono stati coinvolti in un incidente internazionale, malgrado loro stessi, o se il paese ha un modello economico obsoleto. Non hanno neppure messo a fuoco in pieno il dilemma. Ed è difficile misurare quanto pesi in punti esatti di spread.


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