Navi, missili, soldati e falsi bersagli Usa e Siria si preparano allo scontro

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Assad avrà chiesto consigli ai vecchi ufficiali di Gheddafi, ai serbi che hanno servito con Milosevic, agli ufficiali nordcoreani che collaborano con il suo esercito e, infine, ai russi che lo assistono. Poi avrà riesaminato le incursioni dell’aviazione israeliana contro le installazioni militari siriane. Almeno quattro. Quindi ha impartito gli ordini nella speranza di proteggere una parte del materiale che potrebbe essere colpito da un attacco statunitense.
Da giorni le segnalazioni degli oppositori e di normali cittadini raccontano di movimenti delle unità siriane. Una manovra per «disperdere» i pezzi più importanti. I primi ad essere spostati i numerosi missili terra-terra Scud. Indispensabili per una possibile rappresaglia contro Israele e spesso usati per distruggere interi quartieri. Di solito sono sul Qalamoun, la montagna fortezza che ospita molte installazioni, ora sarebbero nella zona di Homs e Latakia. Si sono trasferiti a Nord anche reparti della 155esima brigata, sospettata di essere coinvolta negli attacchi chimici. Ancora gli attivisti a Damasco hanno «marcato» convogli diretti a Deraa (sud) e Dumayr (sud est). Evacuate parzialmente posizioni nell’aeroporto internazionale nella capitale e i comandi.
Imitando quanto fatto da altri eserciti, quello siriano ha cercato di mimetizzare i nuovi posizionamenti. Con un parco veicoli decrepito, il regime ha usato camion civili requisiti. Sono più moderni, possono essere confusi con mezzi comuni. Missili e altro materiale sarebbero stati nascosti in capannoni industriali mentre i soldati hanno occupato palazzi abbandonati. Si è sparsa la voce — inverificabile — che la polizia abbia trasferito dei prigionieri politici nei siti a rischio. In caso di attacco non faranno da scudi umani, bensì da «vittime dell’aggressione». Le contromisure di Assad, per alcuni osservatori, potrebbero funzionare costringendo il Pentagono a riprogrammare continuamente la lista dei bersagli dei missili cruise Tomahawk che ricevono via satellite le coordinate dei bersagli. E si ricorda come in occasione della guerra per il Kosovo i serbi fossero riusciti ad ingannare, almeno inizialmente, l’aviazione americana con falsi bersagli.
Non la pensano così altri esperti. Gli Usa vedono quello che accade sul terreno. Inutile speculare. Lo diranno i fatti. I satelliti spia, intanto, sorvegliano il dispositivo siriano in coppia con gli U-2, considerati sempre molto efficaci nell’attività di ricognizione. Poi i droni in partenza dalle basi turche e da Sigonella. Insomma mille occhi, uniti alle informazioni che possono arrivare da nuclei di ribelli addestrati dalla Cia: il primo contingente di 50 uomini — ha rivelato Obama ai congressisti — è entrato da poco in azione. In realtà gli insorti «buoni», preparati dall’intelligence occidentale, sono al lavoro da ben prima.
Per il resto dipenderà anche da quali target ha in mente il Pentagono. La lista di 50 obiettivi indicata pochi giorni fa potrebbe essere stata cambiata. Il presidente ha parlato ieri di un’azione limitata che «diminuisca» la capacità militare della Siria. Linee guida che possono tradursi in un arco di opzioni per distruggere basi aeree, depositi, reparti di Scud, comandi, sistemi missilistici. Una bastonata che provochi magari il collasso di alcune posizioni chiave. Ve ne sono un paio nella regione di Aleppo, altre attorno alla capitale. Sarebbero risparmiate quelle installazioni che ospitano le scorte di armi chimiche. Secondo fonti citate dalla stampa americana il Pentagono teme che si sprigionino nubi tossiche che coinvolgano i civili. Dichiarazioni che possono essere veritiere o invece rappresentare della pretattica.
Tutto questo può bastare a soddisfare le richieste della Casa Bianca? A Washington — e non solo — abbondano gli scettici. Due giorni di raid, osservano, cambiano poco. Servirebbe una campagna prolungata. Ma il presidente, insieme a gran parte degli americani, non la vuole. Resistenze irrobustite da un dato economico convincente. Il capo di Stato Maggiore Dempsey, mai entusiasta quando sente parlare di Siria, ha rivelato che ogni giorno di guerra può costare un miliardo di dollari. Conti a parte, il Pentagono ha mantenuto un dispositivo flessibile. In Mediterraneo ci sono le navi Stout , Gravely , Ramage e Barry , dotate di missili da crociera. Ordine di rientro ieri per una quinta, il Mahan , fino a pochi giorni fa nello scacchiere. Sempre in zona la nave da sbarco San Antonio con a bordo 300 marines e due sottomarini. Nel Mar Rosso incrocia la portaerei Nimitz , anche se ufficialmente rappresenta una riserva e non sarebbe prevista la partecipazione al raid. I velivoli U-2 a Cipro, insieme a quelli delle forze speciali (MC 130 e Osprey), in grado di intervenire per salvare piloti caduti «dietro le linee». Quote di caccia e aerei per la guerra elettronica a Incirlik (Turchia), una formazione di F-16 in Giordania. Dagli Usa possono arrivare, dopo una complessa operazione di rifornimento in volo, i bombardieri B-2 o B-52. I loro artigli sono rappresentati da armi lanciabili rimanendo fuori dallo spazio aereo siriano. A chiudere i francesi, con una fregata, un sottomarino più i caccia nel Golfo. Parigi è al fianco degli Usa, insieme a Arabia Saudita, Emirati e Turchia.
La «flottiglia» è seguita come un’ombra dalle navi russe, si parla di una dozzina. A ore si aggiungerà anche la Priazovye , unità-spia piena di antenne d’ascolto che può interagire con il personale presente in alcune basi siriane. Le orecchie del Cremlino in una fase pericolosa. L’episodio del test missilistico israeliano scoperto da una «stazione» russa ne è la prova.
Sono in guardia i guerriglieri che operano sui due fronti. L’Hezbollah libanese, alleato di Assad, ha messo i suoi uomini in stato d’allerta. Uno scenario considerato è che possa sparare razzi contro Israele non dal Libano bensì dal settore siriano di Homs, dove dispone di molti combattenti. Hanno sgomberato alcune delle loro basi a Aleppo i ribelli qaedisti di al Nusra. Sospettano che gli Usa approfittino del blitz per colpirli. Negli Usa più di uno stratega ha consigliato che sarebbe opportuno contrastarli. In chiave futura incutono più timori di Bashar Assad.


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