Rapporto Amnesty sui droni «Ecco le vittime innocenti»

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«Era lì nei nostri campi che raccoglieva l’erba per la cena — ha raccontato uno dei suoi nipoti, Zubair Rehman —, io stavo dando da mangiare agli animali, abbiamo visto il drone ma non ci siamo spaventati perché volavano sopra il villaggio giorno e notte». Poi davanti ai loro occhi Mamana scompare.
È questa una delle tante testimonianze raccolte da Amnesty International nel rapporto «Sarò io il prossimo? I droni statunitensi colpiscono il Pakistan», uno dei più completi studi esistenti per capire il fenomeno dal punto di vista dei diritti umani.
Mamana Bibi è stata uccisa il 24 ottobre del 2012. Pochi minuti dopo il lancio del primo drone sul campo agricolo ne è caduto un secondo facendo una strage di animali e ferendo alcuni nipotini della donna. In Pakistan li chiamano «attacchi ai soccorritori», perché rivolti contro quelli che erano corsi in aiuto alle vittime del primo drone. Per gli americani sono comunque tutti «terroristi». Come «terroristi» erano tante altre vittime dei 300 e più attacchi coi droni compiuti dal 2004 a oggi in Pakistan.
Amnesty International ha esaminato i 45 attacchi resi noti nella regione più colpita, il Nord Waziristan, tra gennaio 2012 e agosto 2013, compiendo, in nove casi, dettagliate ricerche sul campo. Il rapporto fornisce nuove prove sulle uccisioni illegali, in alcuni casi veri e propri crimini di guerra. «Grazie alla segretezza che avvolge il programma sui droni — ha dichiarato Mustafa Qadri, ricercatore di Amnesty in Pakistan — l’amministrazione Usa ha licenza di uccidere senza controllo giudiziario e in violazione degli standard basilari sui diritti umani».
Finora nessun funzionario statunitense è mai stato chiamato a rispondere di attacchi illegali coi droni in Pakistan. E, per quanto riguarda le vittime degli attacchi e le loro famiglie, non ci sono speranze di compensazione visto che gli americani ufficialmente negano di essere responsabili: «Non può esserci alcuna giustificazione per questi omicidi — ha spiegato Qadri —. Nella regione vi sono pericoli reali per gli Stati Uniti e i loro alleati e, in alcune circostanze, gli attacchi con i droni possono essere legali. Ma è difficile credere che un’anziana donna circondata dai nipoti stesse mettendo in pericolo qualcuno».
La promessa di incrementare la trasparenza sui droni, fatta dal presidente Obama nel discorso sul futuro della lotta al terrorismo, pronunciato alla National Defense University quest’anno a maggio, deve ancora diventare realtà: gli Usa continuano a rifiutare di rendere note persino le informazioni essenziali, fattuali o di tipo legale sugli attacchi. Se dei bersagli sono stati certamente colpiti (come il leader di al-Qaeda Abu Yahya al-Libi nel luglio 2012, oltre a talebani pachistani e membri del gruppo al-Haqqani), i droni americani hanno fatto molte vittime innocenti e istillato nella popolazione locale lo stesso tipo di paura che in precedenza era associata ai gruppi armati fondamentalisti.
Tra l’altro i gruppi legati ad al-Qaeda hanno ucciso decine di abitanti dei villaggi accusati di spiare per conto dei droni statunitensi. Gli abitanti di Mir Ali hanno riferito ad Amnesty International che ai bordi delle strade vengono regolarmente ritrovati corpi con su scritto che chiunque sia sospettato di fare la spia per gli Usa subirà la stessa sorte. Ora l’organizzazione umanitaria chiede agli americani un’operazione verità sui droni. E questa volta mostra a Washington le prove.
Monica Ricci Sargentini


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