“Aiutateci a lottare contro la Sla” l’ultimo grido di Raffaele morto dopo il sit-in al ministero

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ROMA — Parlava del suo corpo che lo aveva tradito come di «un tocco di legno», ma la voglia di lottare non era scomparsa come la forza nei muscoli. Anzi: «Raffaele era un leone. Uno che non si arrendeva mai. Pronto a spendere ogni briciolo di energia per conquistarsi sprazzi di vita normale, ma soprattutto disposto a battersi fino in fondo perché tutti i malati di sla potessero vivere in maniera dignitosa». Michelina è la moglie di Raffaele Pennacchio, 55 anni, medico campano ammalato di Sla morto di infarto martedì sera in albergo dopo l’ennesimo presidio — il nono in 18 mesi — sotto le finestre del ministero dell’Economia. L’ennesima manifestazione organizzata dal “Comitato 16 novembre” per ottenere fondi per l’assistenza domiciliare ai malati gravi.
Raffaele era stanco, provato da due giorni di protesta, dalla trattativa col ministero, ma non mollava. Era la sua natura. «Non c’è più tempo, non abbiamo più tempo, fate presto» aveva ripetuto tra le lacrime ai sottosegretari durante gli incontri. «Ci sono interessi economici che frenano: nelle residenze protette un malato costa 90mila euro, a casa come chiediamo noi, meno della metà», aveva insistito battagliero. Alla fine era uscito contento, un risultato l’aveva ottenuto, qualcosa più di una promessa e così era tornato al presidio, da chi come lui lottava per sopravvivere alla malattia che gli aveva rubato il corpo giorno dopo giorno. «Tre anni fa ero venuto alla manifestazione guidando la mia macchina, poi zoppicando, adesso sono in carrozzina. Sono già fortunato, riesco a parlare e il respiratore lo uso solo di notte, ma il mio corpo è diventato come un tocco di legno » aveva detto a
Radio Capital.
«Era un combattente, Un altruista dalle mani bucate che mi aveva conquistato con l’intelligenza e quella perenne disponibilità verso gli altri». Michelina accenna un sorriso, composta, pudica nel dolore che la consuma ripensando a trent’anni di matrimonio, un amore nato sui banchi del liceo, cementato dalla comune passione per la medicina — lei diventata chirurgo, lui dentista — da due figli, tra scherzi e risate che la malattia non ha mai interrotto.
Nel piccolo paese di Macerata Campana, 7mila abitanti e ben 4 malati di Sla, la loro è stata per anni una vita normale fino al giorno in cui — nel 2009 — Raffaele comincia ad avere crampi, a zoppicare. Esami su esami, Tac, poi il viaggio a Milano dove la diagnosi purtroppo diventa sentenza: Sla.
«Ma lui l’aveva capito da solo, era medico, e come medico l’ha affrontata. Senza scene, anzi cercando a volte di scherzarci su. Sapeva cosa gli sarebbe accaduto, preveniva, prevedeva, faceva le richieste all’Asl in anticipo, come per la carrozzina. Sapeva che dopo le stampelle, dopo il deambu-latore quella sarebbe stato l’unico modo di muoversi rimastogli».
Giorno dopo giorno il corpo si ribella, notte dopo notte i muscoli non rispondono e Raffaele si trova paralizzato, smette di lavorare ma non di lottare. Anzi. Fa ricorso per essere sottoposto alle staminali: «Magari non è la cura giusta ma proviamoci, come medico sono più attendibile a valutare i risultati reali», dice mentre partecipa agli incontro del Comitato dei malati di Sla che lo vedono sempre più protagonista accanto alla presidente Mariangela
Lamanna.
Sono giorni vissuti all’insegna di una normalità conquistata a fatica, col cugino che aiuta mentre Michelina va in ospedale a lavorare, con i figli «che in casa studiano pronti a sentire se papà chiama, se ha bisogno di aiuto». Perché non può muoversi se ha «il solletico al naso o lo massacrano le zanzare», perché bisogna usare il sollevatore per metterlo e toglierlo dalla carrozzina e Michelina ormai è bravissima a farlo da sola ma a volte è stanca per le poche ore di sonno.
Ogni notte infatti Raffaele va girato cinque sei volte, ha bisogno del respiratore per passare qualche ora tranquillo. E Michelina è sempre li. Due letti, di cui uno ortopedico, hanno preso il posto del lettone matrimoniale ma non delle parole fino a tarda notte, dei sorrisi, degli sfottò. «La sua vita ormai era il computer, il collegamento col mondo, con gli altri malati e io gli dicevo che amava più Internet di me e lui mi prendeva in giro».
Raffaele era un uomo deciso a godersi ogni istante, era andato in carrozzina alla partita di rugby Italia Scozia e qualche giorno fa alla Fiera del cioccolato di Teano, poi ancora notti e albe sul computer a preparare l’incontro con i politici romani. Il suo ultimo incontro con il viceministro Cecilia Guerra che ora dice: «lo stimavo moltissimo come tutte le persone che si battono per ideali importanti ». Ma il rispetto non consola Michelina. «Raffaele è morto di stress, l’hanno ucciso anche i politici per anni indifferenti. Vorrei che venissero anche un solo giorno in casa di un malato di sla per capire cos’è la vita senza potersi muovere, magari neppure respirare. Per chi è costretto a dipendere dagli altri in tutto, anche nelle cose più intime, e se ha bisogno di aiuto a volte ha solo un battito di ciglia per dirlo».


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