La rivincita della stampa

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NEW YORK. Produrre delle notizie credibili costa se si segue un modello di impresa problematico, che si ostina a rimanere agganciato ai binari malgrado stia per essere travolto da una locomotiva — rappresentata da un pubblico di lettori frammentario ed entrate pubblicitarie in declino. Proprio quando tutto sembrava ormai perduto, però, un’improbabile cavalleria è arrivata in soccorso al galoppo, portando cospicue quantità di denaro, idee fresche e una buona dose di entusiasmo. La Silicon Valley e i suoi personaggi di punta — alcuni dei quali hanno contributo agli attuali problemi dell’editoria — hanno improvvisamente iniziato a investire significative somme di denaro per preservare la varietà e la qualità delle notizie.
La scorsa settimana Pierre M. Omidyar, fondatore di eBay, ha annunciato che finanzierà con 250 milioni di dollari il giornalista Glenn Greenwald e alcuni suoi colleghi nella creazione di un sito di notizie di nuova concezione.

Solo due mesi fa Jeff Bezos, fondatore di Amazon, aveva investito altrettanto per acquistare personalmente il Washington Post.
Stiamo parlando di mezzo miliardo di dollari che stanno confluendo nella produzione di notizie: un settore dal quale gli investitori i cui asset versano in condizioni precarie stanno invece fuggendo.
Ma non finisce qui. A luglio Laurene Powell Jobs, vedova di Steve Jobs, ha deciso di investire nella Ozy Media, una startup giornalistica. Chris Hughes ha impiegato il denaro guadagnato con Facebook per acquistare il “New Republic” e dare un sostegno finanziario ad “Upworthy”, un aggregatore di contenuti di qualità. Di recente alcune imprese giornalistiche di nuova generazione come Vice, Vox Media, BuzzFeed e Business Insider hanno ricevuto investimenti significativi. A tutto ciò si aggiunga il fatto che, dopo aver appoggiato la Participant Media, Jeff Skoll (un altro veterano di eBay) sta sostenendo il canale televisivo “Pivot”, che realizza film e programmi socialmente rilevanti.
L’elenco non finisce qui, ma la tendenza è lampante: all’improvviso il giornalismo di qualità è diventato, se non irresistibile, quanto meno assai attraente per i capitali delle nuove imprese digitali. E a pensarci bene è giusto che sia così: malgrado tutti suoi eccessi, la Silicon Valley
non è mai stata un luogo in cui l’ostentazione crea capitale sociale. E mentre qualsiasi reporter di tecnologia vi confermerà che la Valley è lungi dall’essere socievole con la stampa, coloro che vi occupano posizioni apicali sono dal canto loro avidi, attenti consumatori di notizie e nutrono delle forti opinioni riguardo alle lacune che queste presentano. Vedere in questi recenti fermenti un semplice passatempo per alcune delle persone più in vista del mondo della tecnologia sarebbe un errore.
«I tecnologi – ha affermato lo scorso fine settimana in un’intervista Omidyar – nutrono la convinzione, forse esagerata di poter migliorare il mondo. Certo, tentare di riuscirvi solo tramite la tecnologia potrebbe essere limitante. O forse stancante. Per questo l’idea di dedicarsi alla diffusione di contenuti su ampia scala appare come un’opportunità allettante ». Inoltre, sarebbe sbagliato credere che l’unico contributo che possa venire da dei giocatori “a forte impronta digitale” sia di tipo finanziario. Il loro investimento in termine di capitale intellettuale, infatti, è altrettanto importante. Se mai un settore ha avuto bisogno di innovazione – grandi idee, frutto di menti originali quello è il settore giornalistico. «Credo – ha detto Omidyar – che la tecnologia possa contribuire alla nascita di un giornalismo influente per la nostra democrazia e capace di esercitare un forte impatto su un grande numero di persone. Credo anche che la tecnologia sia in grado di diffondere questo giornalismo tra un pubblico generalista in modo commercialmente sostenibile».
Alcune imprese di piccole dimensioni hanno già creato dei siti giornalistici capaci di indicare una nuova strada, ma senza i mezzi necessari a colmare i vuoti venutisi a creare in seguito all’imponente ristrutturazione del mondo dell’editoria. Quando ad un tratto si ebbe l’impressione che i quotidiani, principali fucine del giornalismo di grosso calibro, sarebbero stati depauperati, o si sarebbero trasformati in ozioso trastullo. «Si riteneva – afferma Michael Zimbalist, vicepresidente del settore ricerca e sviluppo del “New York Times” – che i quotidiani sarebbero diventati dei semplici trofei nelle mani di ricchi imprenditori giunti ormai alla fine della loro carriera. Adesso, invece, gli imprenditori di successo sono disposti, già a metà della loro carriera, a investire e tenere duro. In passato si sono comportati da guastafeste, e adesso sono pronti a mettere a frutto la lezione».
Stiamo assistendo a una profonda riconfigurazione. Negli oltre dieci anni durante i quali ho seguito il mondo del giornalismo non avevo mai assistito a un momento di maggiore ottimismo o più promettente. Operatori non-tradizionali come Bezos possono permettersi di adottare una strategia a lungo termine cosa che egli ha già fatto piuttosto efficacemente con Amazon. E gli ostacoli sono evaporati: strumenti digitali a basso costo facilitano la produzione e la collaborazione, mentre social media come Twitter e Facebook consentono la diffusione dei contenuti tramite la funzione di “sharing”. Tecnologia e giornalismo – un tempo antagonisti – stanno per tentare un giro di danze, con Bezos e Omidyar in prima fila.
Non occorre certo una laurea in economia per capire che nel mondo della comunicazione la capacità di catturare l’attenzione dei consumatori per poi trasferirla altrove estraendone al tempo stesso valore potrebbe tornare molto utile. ITunes si è servito di contenuti a buon mercato e dal prezzo omogeneo per animare le vendite di dispositivi come l’iPod; Amazon si è servita di dispositivi a buon mercato, come Kindle, per incrementare le vendite di contenuti lucrativi. EBay è riuscita a ridurre gli attriti e i sospetti tra acquirenti e venditori che si scambiano articoli di ogni tipo. Riuscire ad adattare quelle stesse competenze alla produzione di notizie potrebbe avere un grande impatto, e le imprese editoriali potrebbero instaurare con i consumatori un rapporto che va oltre la fruizione passiva delle notizie.
Considerate l’abilità di Amazon nell’accompagnare i consumatori attraverso una varietà di opzioni altamente personalizzata. Che un articolo venga letto da un milione di persone è cosa ottima. «Come si fa però a indurre quel milione di persone a leggerne un altro?», domanda Henry Blodget, di Business Insider. Amazon è straordinaria nel personalizzare il proprio sito a misura di ogni visitatore. Compie ricerche infinite e capisce l’importanza della fidelizzazione e della rilevanza dei siti come poche imprese editoriali.
Uno dei segreti di Amazon (e di Netflix) sta nel non offrire un unico sito, ma milioni di siti personalizzati. Non è difficile immaginare in calce a ogni articolo di attualità l’aggiunta di un invito attentamente calibrato che indichi: “Coloro che hanno letto questo articolo hanno letto anche…”.
Sarà divertente vedere a cosa porterà questa nascente alleanza. Malgrado le loro numerose differenze, il mondo delle notizie e quello della tecnologia condividono una convinzione idealistica secondo la quale il lavoro può migliorare l’esistenza degliesseri umani.
(© 2013 New York Times News Service Traduzione di Marzia Porta)


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