La trincea del Colle tenta di fermare la deriva elettorale

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Le insinuazioni e le faziosità contro il Quirinale sono l’apice di un’offensiva che fa emergere una gran voglia di sfasciare la coalizione e provocare la fine anticipata della legislatura. Quando il presidente della Repubblica da Firenze avverte che non si sottrarrà «a nessun adempimento scomodo o facilmente aggredibile», ribadisce la volontà di impedire fino all’ultimo la vittoria del partito della crisi.
È un percorso faticoso, contro corrente. Più ci si avvicina alla discussione sulla legge di Stabilità, alla decadenza di Silvio Berlusconi da senatore, e al congresso del Pd, più le manovre diventano scoperte, al limite della provocazione. Dopo l’elezione di Rosy Bindi l’altro ieri alla presidenza della commissione Antimafia, con uno schieramento di sinistra e senza il Pdl, ieri è stato il centrodestra a tentare il colpo grosso in Parlamento. Le assenze di undici senatori ostili al governo hanno messo a rischio l’approvazione della legge che istituisce il comitato dei 42 esperti chiamati per riformare le istituzioni.
Il provvedimento è passato per un soffio. Se fosse stato bocciato, il ministro Gaetano Quagliariello sarebbe stato indotto alle dimissioni. Aggiungendo a questo concentrato di tensioni il rinvio a giudizio di Berlusconi a Napoli per presunta compravendita di voti, si ottiene una somma che fa apparire il governo in un momento di grande fragilità. Nel Pdl i pericoli di una scissione si affacciano a intermittenza. E rimangono legati sia al destino di Berlusconi, sia all’atteggiamento da tenere verso il governo Letta.
I cosiddetti «lealisti» continuano a sostenere che se l’ex premier finisce fuori dal Parlamento scompare la maggioranza delle «larghe intese»; anzi, per i più estremisti è sepolta. E l’intero Pdl accusa il presidente del Senato, Pietro Grasso, di assecondare gli agguati della sinistra a Berlusconi aprendo alla possibilità che la giunta per le elezioni lo faccia decadere a scrutinio palese. A Grasso si rinfaccia perfino di essere un ex magistrato. I ministri tengono distinta la vita della coalizione dalle vicende berlusconiane, a cominciare da Maurizio Lupi. Ma il nervosismo non si place. E il viavai nella casa romana di Berlusconi di esponenti del Pdl in guerra fra loro fa capire che la tregua non è stata ancora raggiunta.
Sul versante della sinistra le cose si presentano meno convulse, in apparenza. Il quasi unanimismo del Pd intorno alla candidatura di Matteo Renzi alla segreteria, tuttavia, nasconde dubbi e timori, confermati ieri alla riunione dell’Associazione dei Comuni italiani, a Firenze. Il premier Letta lo ha incontrato brevemente. Il capo dello Stato ha avuto con lui un colloquio di 40 minuti in Prefettura. Ma l’approccio liquidatorio del sindaco verso il governo non è condiviso dal presidente della Repubblica. L’ipoteca del M5S di Beppe Grillo pesa: sia sul Pd sia sul Pdl. L’impressione sgradevole è che in vista delle elezioni europee cresca il tasso di populismo delle forze politiche, spaventate dall’ascesa di movimenti antieuropei. La percezione dell’Ue è peggiorata un po’ in tutte le nazioni. E questo indebolisce il governo Letta, che dell’ancoraggio all’Europa ha fatto uno dei suoi capisaldi.

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Le parole di Giorgio Napolitano sulle calunnie che minano la stabilità non possono essere considerate solo uno sfogo. Riflettono la preoccupazione per una deriva che sta rimettendo in bilico la maggioranza delle larghe intese e il governo; e che utilizza anche «il tentativo di gettare ombre» sui vertici dello Stato per destabilizzare l’esecutivo e il sistema. Le insinuazioni e le faziosità contro il Quirinale sono l’apice di un’offensiva che fa emergere una gran voglia di sfasciare la coalizione e provocare la fine anticipata della legislatura. Quando il presidente della Repubblica da Firenze avverte che non si sottrarrà «a nessun adempimento scomodo o facilmente aggredibile», ribadisce la volontà di impedire fino all’ultimo la vittoria del partito della crisi.
È un percorso faticoso, contro corrente. Più ci si avvicina alla discussione sulla legge di Stabilità, alla decadenza di Silvio Berlusconi da senatore, e al congresso del Pd, più le manovre diventano scoperte, al limite della provocazione. Dopo l’elezione di Rosy Bindi l’altro ieri alla presidenza della commissione Antimafia, con uno schieramento di sinistra e senza il Pdl, ieri è stato il centrodestra a tentare il colpo grosso in Parlamento. Le assenze di undici senatori ostili al governo hanno messo a rischio l’approvazione della legge che istituisce il comitato dei 42 esperti chiamati per riformare le istituzioni.
Il provvedimento è passato per un soffio. Se fosse stato bocciato, il ministro Gaetano Quagliariello sarebbe stato indotto alle dimissioni. Aggiungendo a questo concentrato di tensioni il rinvio a giudizio di Berlusconi a Napoli per presunta compravendita di voti, si ottiene una somma che fa apparire il governo in un momento di grande fragilità. Nel Pdl i pericoli di una scissione si affacciano a intermittenza. E rimangono legati sia al destino di Berlusconi, sia all’atteggiamento da tenere verso il governo Letta.
I cosiddetti «lealisti» continuano a sostenere che se l’ex premier finisce fuori dal Parlamento scompare la maggioranza delle «larghe intese»; anzi, per i più estremisti è sepolta. E l’intero Pdl accusa il presidente del Senato, Pietro Grasso, di assecondare gli agguati della sinistra a Berlusconi aprendo alla possibilità che la giunta per le elezioni lo faccia decadere a scrutinio palese. A Grasso si rinfaccia perfino di essere un ex magistrato. I ministri tengono distinta la vita della coalizione dalle vicende berlusconiane, a cominciare da Maurizio Lupi. Ma il nervosismo non si place. E il viavai nella casa romana di Berlusconi di esponenti del Pdl in guerra fra loro fa capire che la tregua non è stata ancora raggiunta.
Sul versante della sinistra le cose si presentano meno convulse, in apparenza. Il quasi unanimismo del Pd intorno alla candidatura di Matteo Renzi alla segreteria, tuttavia, nasconde dubbi e timori, confermati ieri alla riunione dell’Associazione dei Comuni italiani, a Firenze. Il premier Letta lo ha incontrato brevemente. Il capo dello Stato ha avuto con lui un colloquio di 40 minuti in Prefettura. Ma l’approccio liquidatorio del sindaco verso il governo non è condiviso dal presidente della Repubblica. L’ipoteca del M5S di Beppe Grillo pesa: sia sul Pd sia sul Pdl. L’impressione sgradevole è che in vista delle elezioni europee cresca il tasso di populismo delle forze politiche, spaventate dall’ascesa di movimenti antieuropei. La percezione dell’Ue è peggiorata un po’ in tutte le nazioni. E questo indebolisce il governo Letta, che dell’ancoraggio all’Europa ha fatto uno dei suoi capisaldi.


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