Nuovo ossigeno solo per 9 mesi e Air France resta alla finestra

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MILANO — Nove mesi di tempo per (ri)provare a salvare Alitalia. Il salvagente da 500 milioni studiato per la compagnia di bandiera è una cambiale a termine. Scadenza: luglio 2014. All’inizio della prossima estate, senza un piano in grado di ridurre l’emorragia di liquidità, i nodi torneranno al pettine, i soldi saranno finiti un’altra volta e l’ex compagnia di bandiera sarà costretta – a meno di miracoli – ad alzare bandiera bianca.
I calcoli sono semplici: tra gennaio e giugno del 2013 l’aerolinea tricolore ha perso 294 milioni, 1,62 milioni al giorno. A fine giugno in cassa c’erano 128 milioni, somma che malgrado le entrate estive – la stagione migliore per i conti del gruppo – andranno con ogni probabilità in fumo prima del 14 novembre, data in cui i soci dovranno mettere mano al portafoglio per la ricapitalizzazione. Da lì scatterà la traversata nel deserto. L’inverno è da sempre il periodo in cui le compagnie aeree guadagnano di meno (o come nel caso di Alitalia, perdono di più). Nei primi tre mesi di quest’anno, per dire, il vettore italiano ha venduto biglietti per 700 milioni, spendendone 869 solo per continuare a far volare gli aerei. E per non far riaccendere la spia rossa dell’allarme liquidità a stretto giro di posta, deve dare una scossa in tempi brevissimi alle sue strategie. Come? Tagliando i costi per quanto possibile – spazio non ce n’è più molto, assicurano gli esperti – e soprattutto trovando un modo per far crescere le entrate. Percorso a ostacoli per un gruppo di soci che ancora ieri sera, manco fossero su Marte, litigavano in assemblea sul valore residuo dell’azienda.
La spiegazione della riluttanza di Air France a fare la sua parte nell’aumento di capitale sta tutta in queste cifre. I francesi hanno firmato un assegno di 322 milioni nel 2009 (un prezzo maggiore di quello pagato dagli altri soci) per acquistare un quarto di Alitalia. Soldi che oggi sono quasi tutti andati in fumo. Il ragionamento a Parigi è semplice. Senza una forte discontinuità, non c’è ragione di mettere mano al portafoglio. Qualcuno, nel cda di Parigi, ha suggerito di
approfittare di questa occasione per rastrellare le quote dei soci scontenti (il 28 ottobre scadrà il lock-up sulla quota dei “patrioti”) e salire oltre il 50% del capitale del partner italiano. In modo di aver carta bianca (più o meno) sulle strategie. Anche questa idea però è rimasta solo una suggestione sulla carta. Air France è impegnata nella realizzazione del piano Transform 2015. Obiettivi: il pareggio nel 2014 grazie a 7mila tagli e un indebitamento tagliato a 4,5 miliardi. Peccato che per arrivare a questa cifra manchino ancora 1,5 miliardi. E l’eventuale acquisizione di Alitalia aggiungerebbe altri 1,2 miliardi al totalizzatore, rendendo il target fuori dalla portata del gruppo. Uno scenario che il cda di Parigi – specie per i dubbi dell’anima olandese di Klm – non è disposto ad accettare.
Alexander de Juniac, il numero uno di Air France, è conscio di questo percorso strettissimo. La parola d’ordine dunque è attendere. Sapendo che chiamarsi fuori dall’aumento vuol dire due cose: perdere un po’ dei diritti di veto garantiti dallo statuto a chi ha più del 20% del capitale, ma non bruciare altri quattrini. Rimanendo comunque l’interlocutore di riferimento per qualsiasi futuro della società italiana che – come dice il premier Enrico Letta – non ha alcun futuro se non in un’alleanza internazionale. Il tempo gioca a favore di Parigi: Lufthansa, per chi avesse mai avuto dubbi, si è chiamata fuori ieri («non siamo interessati ad Alitalia»). Lo stesso ha fatto Aeroflot. La British è partita all’attacco degli aiuti di Stato. Etihad non si muoverà mai contro il volere di Air France, con cui ha una solida alleanza. L’aumento di capitale ha regalato nove mesi di vita “supplementare” a Roberto Colaninno & C: ma senza una vera svolta strategica rischia di essere un’aspirina buona solo per prolungare l’agonia.


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