Parolin, la voce diplomatica del Papa

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Il cardinale Bertone chiude un settennato drammatico, culminato nella rinunzia del «suo» Papa ma iniziato archiviando il «ruinismo», cioè quella linea politica che appartiene al passato. Oggi Bertone se ne va dopo aver provato a fare ciò per cui era stato assunto: stendere cioè un velo di amicizia attorno a Benedetto XVI per proteggerlo, distanziando il Papa da una realtà divenuta anche per questo sempre più amata. Il senno di poi dice che non è bastato, che non era quello il compito primo d’un Segretario di Stato e che la fiducia mal riposta in personaggi di seconda fila ha addirittura aggravato processi degenerativi che sovrastavano la sua persona. Il che spiega ma non giustifica i semplicismi usati oggi contro di lui; non dissimili da quelli parimenti sgradevoli usati al pensionamento di Sodano nel 2007. Bertone s’è infatti misurato con un problema strutturale che riguarderà anche chi lo sostituisce e/o chi dovrà coordinare una macchina di governo — è questo il vero nodo della riforma della curia — priva di un’anima ecclesiologica.
Papa Francesco non ha scelto, per sostituire Bertone, né un amico di lunga data come fece Ratzinger, né uno uomo polarizzato come fece Wojtyla con Casaroli. Il Papa argentino ha individuato un diplomatico italiano, il cui smalto sacerdotale però non s’è mai affievolito in una carriera lunga e ricca. Giovane dell’Italia «montiniana», Parolin è diplomatico di carriera dal 1986. Va in Nigeria all’indomani della preghiera di Assisi, poi in Messico all’indomani della caduta del Muro. Torna a Roma ai tempi di Tangentopoli, dopo il pensionamento di Casaroli e l’arrivo di Sodano. Nella sezione che fa la politica estera vaticana è il gestore della difficilissima normalizzazione col Vietnam, dell’accordo con Israele. Soprattutto va a suo merito il contenimento della tensione con la Cina, suggellata dai viaggi a Pechino e dalla lettera ai cattolici cinesi del 2007: cose che le correnti integriste gli hanno imputato, salutando nel 2009 la sua nomina a nunzio nel Venezuela di Chavez (ancora una volta come in Messico e nel golfo di Guinea in un percorso che tocca le stesse tappe del servizio diplomatico del cardinal Bertello) come un «promoveatur ut amoveatur».
Dall’America Latina papa Francesco è andato a riprenderselo. E ha riportato nell’ufficio che fu di Rampolla, Tardini e Casaroli un uomo che è sempre rimasto distante dalla politica italiana, forse un requisito agli occhi di Bergoglio. Ma la politica italiana non è irrilevante per la Santa Sede. Perché il destino del nostro Paese deciderà se il Vaticano sarà un pezzo d’Europa o un quartiere dei «Pigs» (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna). Su questo il Papa ha bisogno non di un Segretario di Stato che lo consoli, ma che lo aiuti a comprendere.
Rendere leggibili le intuizioni pastorali di Francesco là dove si fa la politica internazionale è l’altro compito che incombe a un Segretario di Stato che dopo molti anni riporta in quegli uffici un diplomatico prudente come Montini, abile come Silvestrini, giovane come Pacelli. L’Asia e l’Africa, il Medio Oriente e l’Europa, sono continenti nei quali la predicazione di papa Bergoglio solleva questioni non meno complesse dei nodi teologici che essa attira verso il pettine della storia. Spiegarla con una lingua insieme diplomatica e «cristiana» è il compito difficile nel quale Parolin saprà mostrare quanto vale .


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