Privatizzazioni, Letta accelera Piano da 20 miliardi in tre anni per ridurre il debito pubblico

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ROMA — Vendere per fare cassa e ridurre il debito pubblico. Dopo anni di silenzio, le privatizzazioni sono tornate nell’agenda del governo. Tutte le partecipazioni statali — dalla Rai all’Eni, come ha detto il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni — sono teoricamente destinate ad andare sul mercato a cercare il miglior acquirente. Si punta a raccogliere più di 20 miliardi in un triennio, 7,5 miliardi ogni anno. Soldi necessari per abbassare la montagna del nostro debito pubblico che ha superato la soglia impressionante dei duemila miliardi di euro, pari a oltre il 133 % del Pil e che ci costa ormai 84 miliardi l’anno di interessi, cioè 1.400 euro a ciascun italiano. Una zavorra per lo sviluppo tanto più in una fase del ciclo economico che oscilla da anni tra la stagnazione e la recessione.
Entro la fine dell’anno sarà pronto il piano Letta-Saccomanni per le dismissioni. Una versione certamente light di quel che accadde all’inizio degli anni Novanta (direttore generale del Tesoro, l’attuale presidente della banca centrale europea, Mario Draghi), con la cessione di una serie di asset (dalle banche all’Ilva, dalla Telecom ad Autogrill) che permise tra la fine dello secolo passato e il nuovo millennio di tagliare di circa il 10 per cento il debito. L’obiettivo di questo governo è molto più prudente: ai quasi 16 miliardi di euro (circa un punto di Pil) cui puntava il precedente esecutivo guidato da Mario Monti, si è scesi, nel programma inserito nella nota di aggiornamento del Def (Documento di economia e finanza) alla metà.
Già nella riunione del Consiglio dei ministri di questa settimana dovrebbe essere ricomposto il Comitato delle privatizzazioni (guidato dal direttore generale del Tesoro, Vincenzo La Via), istituito proprio nel 1993, con il compito di affiancare il governo nel definire il piano delle dismissioni. Poi, due mesi di tempo massimo di lavoro.
Alcune linee tuttavia sembrano già emergere. Intanto sono escluse nuove cessioni di quote di Enel (il Tesoro controlla il 31,4%) e di Finmeccancia (30,20%), mentre sul mercato dovrebbe andare tutta o quasi la quota di partecipazione (4,34 %, con il 25,76 % in mano alla Cassa depositi e prestiti) dell’Eni di Paolo Scaroni. Sarà ridotta la partecipazione (attualmente del 29,85%) della Cdp di Franco Bassanini
e Giovanni Gorno Tempini in Terna (gestore della rete elettrica) dove, peraltro, il Tesoro non possiede più nulla. Il progetto è quello di cedere, tra la fine dell’anno e l’inizio del 2014, il 4,9% (pari a 340-350 milioni di euro) della società guidata da Flavio Cattaneo. I ricavi, non essendo la Cdp all’interno del perimetro della pubblica amministrazione, non andranno però a riduzione del debito. La Cdp sta studiando la possibilità di conferire la propria quota di Terna in Cdp Reti che già controlla Snam. Successivamente verrebbe messa sul mercato un pacchetto di minoranza di Cdp Reti.
In questo nuovo risiko delle privatizzazioni dovrebbero fare il proprio esordio le Poste controllate al 100% dal Tesoro. L’idea è di mettere sul mercato Poste Vita, il segmento assicurativo e anche una vera cassaforte del colosso guidato da Massimo Sarmi. Dopo anni di polemiche per la determinata opposizione soprattutto della Fiom-Cgil è destinata a quotarsi a Piazza Affari la Fincantieri di Giuseppe Bono per reperire i finanziamenti necessari per crescere. Il controllo resterà pubblico.
Il piano Letta-Saccomanni dovrà però fare i conti con le resistenze interne, al governo e alla maggioranza, ed esterne. Già il viceministro dell’Economia, Stefano Fassina, ha avanzato le sue perplessità per lo scarso effetto sulla riduzione del debito e per la rinuncia a quote di società strategiche. Ieri, insieme alla critica di Gianni Cuperlo (Pd) contro le dismissioni per fare cassa, è arrivato l’altolà del segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni: «È imbarazzante che il ministro dell’Economia — ha detto — torni sempre sul tema delle privatizzazioni. Non sono aziende sue. Capisco la necessità di fare cassa. Ma il ministro si occupi di ridurre gli sprechi e le ruberie».


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