Tortura di stato, il modello italiano

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Assolto perché il fatto non sussiste e revoca della condanna per calunnia. Si è concluso così ieri a Perugia il processo di revisione sollecitato dai difensori dell’ex brigatista Enrico Triaca, gli avvocati Francesco Romeo e Claudio Giangiacomo. La corte ha anche deciso la pubblicazione della sentenza su la Repubblica. Triaca, «il tipografo romano delle Brigate rosse», venne arrestato il 17 maggio del ’78 nel corso delle indagini sul sequestro Moro. In aula dichiarò di essere stato picchiato e torturato con la pratica del water boarding da una squadra speciale dell’Antiterrorismo. Fu condannato a un anno e quattro mesi di carcere e a una multa di 150.000 lire per calunnia. Trentacinque anni dopo, il suo torturatore ha però deciso di parlare, confermando il suo racconto al giornalista Matteo Indice, del Secolo XIX e poi al responsabile del TG3 Lazio, Nicola Rao, che ne ha tratto il libro Colpo al cuore, dai pentiti ai «metodi speciali»: come lo stato uccise le Br. (Sperling & Kupfer). È pugliese come il suo prigioniero di allora, ha quasi 80 anni e si chiama Nicola Ciocia, ex funzionario dell’Ucigos, al secolo «Professor De Tormentis»: un soprannome ricevuto dal suo capo Umberto Improta e rivendicato con orgoglio durante un’intervista rilasciata al giornalista del Corriere Fulvio Buffi.
Ciocia era a capo di una squadretta creata dopo il sequestro Moro (ma già entrata in azione nel ’75) e rimasta attiva negli anni seguenti: fino a tutto il 1982, il «periodo sudamericano» delle torture ai brigatisti, seguito al sequestro del generale Usa James Lee Dozier. «Sì, sono anch’io responsabile di quelle torture», ha confessato l’ex commissario Digos Salvatore Genova, condannato a brevi pene insieme ad altri quattro per aver torturato il brigatista Cesare Di Lenardo: con l’acqua e sale ma anche con gli elettrodi, come la picaña in Cile e in Argentina. Genova, presente alle sedute di De Tormentis, ne ha raccolto per primo le confidenze e ieri ha deposto al processo. «La squadretta – dice al manifesto l’avvocato Romeo – agiva per conto degli alti vertici della polizia. Lo racconta anche Giuliano Amato nel libro Grandi illusioni, conversando sull’Italia, edito dal Mulino, che abbiamo portato come prova. Rognoni negò l’esistenza delle torture durante un dibattito in parlamento, nell’82, ma i vertici delle forze dell’ordine e anche un ristretto numero di magistrati sapevano». La Corte – aggiunge il legale – «ha trasmesso gli atti alla Procura perché proceda contro Ciocia. Ma in Italia non c’è il reato di tortura e i fatti sono stati prescritti». «Rompiamo il silenzio, la tortura è di stato» diceva però lo striscione fuori dall’aula, dove un gruppo di ragazzi ha svolto un presidio.


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