Le fragilità parallele di Pdl e Pd si scaricano su Letta

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La fragilità costituisce la sua condizione naturale, bilanciata da uno scudo istituzionale e internazionale finora a prova di crisi. Ma la sua maggioranza anomala non dà segni di riconciliazione: né fra i partiti né al loro interno. Berlusconi ha convocato per il 16 novembre il Consiglio nazionale, accelerando i tempi per tornare a Forza Italia. Le manovre per evitare la sua decadenza da senatore, però, continuano a fallire. E questo ingigantisce le incognite nei confronti di palazzo Chigi.
Nel Pdl le distanze fra i cosiddetti “lealisti” e l’ala governativa, che sembravano ridursi, aumentano. Ieri era stata annunciata una lista di 30 senatori e 26 deputati pronti ad appoggiare comunque il governo. E alcune frasi a dir poco incaute pronunciate dall’ex premier, che ha paragonato i propri figli a quelli degli ebrei ai tempi di Adolf Hitler, hanno aperto un altro fronte. Berlusconi ha parlato di «polemica strumentale», rivendicando l’amicizia storica con Israele. Ma intanto fioccavano le reazioni infuriate della comunità ebraica, che ha ritenuto quei giudizi un’offesa all’olocausto.
L’incapacità di riunificare i due tronconi nei quali oggi è spezzato il Pdl, d’altronde, segnala un difetto di leadership. Le immagini e le parole trasmesse dal centrodestra sono quelle di un partito diviso. Il vicepremier, Angelino Alfano, riunisce i ministri e i sostenitori del governo a palazzo Chigi. E Berlusconi riceve nella sua abitazione romana a palazzo Grazioli i “falchi” che invocano la resa dei conti con Alfano e gli altri “traditori”; che vogliono la crisi e vedono il ritorno a FI come una scorciatoia per le urne.
Il Pd, tuttavia, non appare in grado di approfittare dell’implosione del centrodestra. La decisione presa ieri dal segretario, Guglielmo Epifani, di bloccare il tesseramento alla vigilia del congresso, è inquietante. Matteo Renzi, il favorito, e Gianni Cuperlo, sono d’accordo con lui. Ma significa ammettere implicitamente una corsa verso le primarie avvolta in un alone torbido. Sta prevalendo la sensazione di un Pd “scalabile” attraverso meccanismi pensati per ratificare le leadership, ma saltati nel momento in cui si è aperta una competizione vera. Il sindaco di Firenze comincia a vedere il pericolo di un congresso tutt’altro che pacifico; e chiede che si eviti «un clima da saloon».
Non sarà facile. Gli altri candidati alla segreteria attaccano Epifani, Cuperlo e Renzi. La loro proposta sarebbe «tardiva e insufficiente», perché le irregolarità si sono consumate nelle scorse settimane. E una federazione su tre è sospettata di avere tesserato i nuovi iscritti in modo irregolare. In un documento si riportano i casi in cui le percentuale si sono gonfiate in modo anomalo: il 315 per cento e rotti in più a Reggio Calabria; il 304 a Matera, il 303 a Napoli. Epifani spiega che il Pd partiva da un calo degli iscritti rispetto al 2012. Giustificazione debole: non basterà a evitare che si parli di primarie truccate, e di leader delegittimati.


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FINANZIARE LA POLITICA

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Il dibattito sul finanziamento pubblico ai partiti (secondo l’ipocrita formula del rimborso per le spese elettorali) si sta concentrando sull’aspetto patologico emerso con evidenza in questi giorni: l’uso a fini privati delle risorse pubbliche, in frode alle stesse organizzazioni politiche.

Sputo il rospo

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MONTI BIS. Constatare che quanto sta accadendo in questi giorni al vertice delle nostre istituzioni è quantomeno irrituale è dir poco. In realtà , in questa affrettata fine di legislatura un altro pezzo di quel che resta del nostro ordinamento costituzionale è andato in pezzi. Siamo – o meglio dovremmo essere – una «democrazia parlamentare»: una forma di governo, cioè, in cui il fulcro del sistema politico è il Parlamento.

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