Affari miliardari, politica e tragedie: la famiglia al centro del rebus libanese

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Che dal 1992 è entrata di peso nella politica con la nomina a premier del «patriarca», quel Rafiq Hariri che fu assassinato il giorno di San Valentino del 2005 da 1.800 chili di esplosivo lungo il mare di Beirut. Non lontano dal luogo dove Muhammad Shatah, già ministro dello stesso Rafiq e poi consigliere del figlio Saad, ieri è stato ammazzato da una autobomba.
Shatah non è il primo degli uomini vicini alla famiglia a essere stato oggetto di attacchi, dietro ai quali (quasi) tutti sospettano i siriani o i loro alleati di Hezbollah. Quattro mesi prima della morte di Rafiq, un suo ministro, Marwan Hamadeh, era uscito illeso per miracolo dalla scoppio di un’auto carica di tritolo. Altri sono seguiti negli anni. E proprio per timore di questi episodi, Saad vive tra Francia e Arabia Saudita, almeno dopo il fallimento della sua carriera di premier nel 2011.
Musulmani sunniti, prima Rafiq e poi Saad hanno occupato per due decenni, quasi senza interruzioni, la carica più importante riservata alla loro fede nel «Cencelli religioso» del Libano. Con risultati e popolarità altalenanti ma forti dell’immenso potere economico alle loro spalle, e delle protezioni internazionali, prima tra tutte quella dell’Arabia dove Rafiq, figlio di contadini, era emigrato a 18 anni. Le cose gli erano andate bene: dopo vari lavori, diventato costruttore, aveva conquistato il futuro re Fahd completando in sei mesi il palazzo reale di Taif. Poi aveva acquistato in Francia il gruppo Oger, con sedi in molti Paesi, e il business si era esteso: immobiliare, media, telecom, banche, industrie. Un impero stimato 10 miliardi di dollari. La fine della guerra civile in Libano (1990) aveva aperto nuove porte. Politiche e di business. La ricostruzione di Beirut e del Paese fu effettuata dai gruppi di famiglia, soprattutto da Solidere. Molte polemiche e critiche in patria («il Berlusconi del Libano pensa solo ai suoi interessi», dicevano gli oppositori), ma la sua ascesa sembrava inarrestabile. Frenata invece, pochi mesi dopo la caduta dell’ultimo suo governo, da quella bomba di 1.800 chili.
Saad, già erede del padre nel business e ancora più saudita di lui (entrambi con doppia nazionalità) dopo due mesi di consiglio di famiglia era stato designato il successore politico, battendo fratelli, zii e cugini. Ma la sua esperienza da premier è durata solo un anno e mezzo fino al giugno 2011. Quelle dimissioni, dovute al ritiro di Hezbollah dal governo per l’inchiesta sull’omicidio di San Valentino che puntava a Damasco, sembravano la fine dell’era Hariri in politica. Ma niente è certo: alle elezioni 2014, rimandate di un anno per l’emergenza siriana, le cose potrebbero ancora cambiare.
Cecilia Zecchinelli


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