La Regione Lazio taglia Ma la penale costa 10 volte il canone annuo

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Per motivi imperscrutabili si decise che lo stesso consiglio, che com’è noto ha sede a Roma, aveva l’impellente necessità di dotarsi di un ufficio di rappresentanza. Dove? Ma nel centro di Roma, a due passi dagli uffici dei deputati, ovviamente. Si poteva forse essere così crudeli da rifiutare ai consiglieri un punto d’appoggio nella Capitale al riparo delle intemperie d’inverno, e della canicola d’estate, senza costringere loro e i loro ospiti illustri ad affrontare un viaggio in taxi verso la periferia ovest della città, dov’è la sede della Pisana? Anche l’affittuario era il medesimo che aveva ceduto in locazione alla Camera con il meccanismo del global service i palazzi che ospitano gli studio degli onorevoli: la società Milano 90 dell’immobiliarista Sergio Scarpellini, titolare di uno dei più prestigiosi allevamenti di cavalli d’Italia. Contratto superblindato: nove anni più nove.
All’epoca le macchine della politica giravano a pieno ritmo, bruciando immense quantità di denaro. Le Regioni, poi, avevano letteralmente inondato la Capitale di uffici di rappresentanza e il mondo intero di piccole ambasciate. Al cospetto del mare di soldi nel quale nuotavano i partiti e della leggerezza con cui anche le istituzioni li amministravano, quei 320 mila euro l’anno che il consiglio regionale del Lazio pagava per un appartamento di 600 metri quadrati a Roma, sembravano quisquilie.
E nonostante fosse chiaramente un’assurdità senza senso da tutti i punti di vista, quella spesa era riuscita a sopravvivere a un giro di centrodestra e al successivo giro di centrosinistra. Finché, con le polemiche montanti sui costi della politica e le oggettive difficoltà di bilancio, la faccenda non era diventata indifendibile e insostenibile. Trascorsi i primi nove anni il presidente del consiglio regionale Mario Abbruzzese (Popolo della libertà, ora in Forza Italia) arrivò quindi alla dolorosa conclusione di dare seguito alla pratica già aperta dal suo predecessore Bruno Astorre (Partito democratico): quella di rescindere il contratto. A febbraio del 2011 lui stesso lo ribadì in una lettera al Corriere replicando a un articolo che aveva ricordato quella storia. «Per la sede di via Poli il contratto è stato rescisso. Inutile citarlo, dunque, se non per registrare un risparmio di 300 mila euro annui», scriveva Abbruzzese.
Peccato che la società Milano 90 avesse impugnato la decisione, argomentando che la rescissione era avvenuta senza rispettare i termini del contratto. E rivendicando un indennizzo pari ai nove anni di canone restanti. Il calcolo dà un risultato stupefacente: 2 milioni e 880 mila euro. Per parare il colpo, la Regione aveva dato incarico a un paio di avvocati fra cui un legale di Cassino, Massimo Di Sotto, concittadino di Abbruzzese. Ma il giudice non ha potuto fare altro che accogliere le tesi contenute nel ricorso. Consapevoli del rischio di dover pagare una tombola, del resto, al consiglio regionale si erano già preparati ad affrontare una costosa conciliazione: proposta però bocciata dalla giunta.
La vicenda è stata poi sommersa, e soffocata, dal precipitare degli eventi. Lo scandalo dei milioni versati nelle casse dei gruppi politici consiliari, lo scioglimento del consiglio e della giunta di Renata Polverini, le elezioni e il ritorno al governo del centrosinistra. Di quella storia, sulla quale ora pende il giudizio d’appello, si sono letteralmente perse le tracce. Ne resta soltanto una, ai limiti dell’inverosimile. Nel sito internet della Regione Lazio c’è una pagina di «contatti», con gli indirizzi e i numeri di telefono di tutti gli uffici. Ci credereste? Tre anni dopo la rescissione del contratto, nella casella del consiglio regionale figura ancora l’indirizzo della «sede di rappresentanza» di via Poli, 29. Ma se si compone il numero di telefono una voce metallica avverte che «il numero selezionato è inesistente». Almeno la bolletta telefonica hanno smesso di pagarla…


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