LA TERZA VOLTA DI ANGELA E LE SPERANZE DELL’EUROPA

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È un gesto che, nonostante gli attuali tiepidi rapporti tra le due sponde del Reno, non può essere preso per un ammuffito cerimoniale in vigore ormai da decenni, dai tempi di de Gaulle e di Adenauer. L’intesa franco-tedesca è uno dei pilastri, anche se non l’unico, e adesso meno esclusivo, dell’integrazione europea. Nei giorni successivi, al vertice di giovedì 19 e di venerdì 20, a Bruxelles, Angela Merkel incontrerà il resto dell’Europa. In occasione di questi appuntamenti la cancelliera dovrebbe rivelare, almeno in parte, i propositi della grande coalizione. I silenzi o la vaghezza sulla questione europea saranno comunque eloquenti.
Nell’accordo di governo (un documento di 185 pagine) il riferimento all’Europa è preciso e sbrigativo, ha il tono di una giaculatoria: auspica, meglio suona come l’impegno a una più grande integrazione. Anche se stringato l’accenno è rassicurante. Era di rigore. A Bruxelles, nei due giorni del vertice, ci si aspetta però qualcosa di concreto. Ad esempio lo sblocco del processo per l’unione bancaria. Ed anche l’avvio di un’Europa più attenta ai problemi sociali. La presenza dei socialdemocratici al governo dovrebbe essere uno stimolo. Se le trattative sono state lunghe, incerte e faticose (quasi tre mesi dal voto del 22 settembre) sarebbe stato proprio perché Sigmar Gabriel, il presidente della Spd, e gli altri negoziatori del suo partito hanno dovuto vincere la resistenza dei conservatori, in particolare del bavarese Horst Seehofer, riluttanti ad accettare l’impronta sociale indispensabile ai socialdelmocratici per giustificare l’accordo di fronte ai loro elettori.
L’Spd non poteva rinunciare a uno dei suoi grandi impegni della campagna elettorale: il salario minimo garantito, a 8,50 euro all’ora. Da applicare a partire dal 2015 e da estendere, pare, a tutto il paese entro il 2017. Non conosciamo i dettagli, ma per la Germania è una novità di notevole portata. Finora le questioni salariali erano trattate dalle parti sociali. Secondo l’istituto economico Diw, 5,6 milioni di persone, vale a dire il 17 percento dei salariati, nella Repubblica federale guadagnano meno di 8,50 euro.
Non sono pochi quelli che scendono a 5 euro. È stato deciso di migliorare anche le pensioni più basse, e di portare l’età del pensionamento da 67 a 63 anni, per chi ha contribuito quarantacinque anni. I socialdemocratici avrebbero voluto aumentare le tasse, ma non ci sono riusciti. Senza appesantire il fisco, alle infrastrutture, alla ricerca e alla formazione saranno dedicati 23 miliardi di euro nei prossimi quattro anni.
Nell’insieme, questi provvedimenti stimoleranno i consumi e avranno gli effetti di un rilancio sia pure contenuto di cui usufruiranno anche gli europei clienti della Germania. Sotto questo aspetto vanno, con passo lento, nella direzione auspicata da molti paesi dell’Unione. La generosa approvazione dell’accordo da parte dei militanti del partito (76%) non nasconde tuttavia l’insoddisfazione di non pochi elettori di sinistra. I quali considerano questa nuova edizione della grande coalizione un avvilente contributo alla vittoria di Angela Merkel.
Per i dirigenti della Spd le riforme strappate alla Cdu-Csu hanno dato un senso alla partecipazione al governo. Alla fine della precedente coalizione (2005-2009), durante la quale era apparso succube di Angela Merkel, il partito uscì malconcio, umiliato dalla elezioni. Ottenne un disastroso 23 percento. E la cancelliera imbarcò i liberali nel successivo esecutivo. Questa volta i socialdemocratici erano perplessi, esitavano a imbarcarsi in un’altra esperienza come una forza politica secondaria anche se essenziale, poiché non avendo la maggioranza assoluta Angela Merkel ha bisogno dei loro voti al Bundestag. Le riforme ottenute hanno giustificato il difficile, sofferto passo. Oltre a quelle economiche ce ne sono state altre significative. Ad esempio la concessione del doppio passaporto ai bambini stranieri nati in Germania. E, naturalmente, c’è il consistente numero di ministeri ottenuti: sei su quattordici. E non trascurabili.
Sigmar Gabriel, presidente della Spd dal 2009, è riuscito a mantenere l’unità del partito, frustrato da tre sconfitte consecutive davanti ad Angela Merkel. E l’ha condotto riluttante ad accettare la grande coalizione. Ha poi fatto approvare l’accordo dalla stragrande maggioranza dei militanti. È cosi emerso trionfante da una sconfitta. Egli è il nuovo vice cancelliere e il ministro dell’economia e dell’energia. C’è stato un tempo in cui non era preso troppo sul serio dalla società politica tedesca. Dopo il successo appena ottenuto, assume un incarico tra i più difficili. Entro il 2022 la Germania deve uscire dal nucleare civile e adottare energie alternative, che richiedono un aiuto di più di venti miliardi.
A controllare le spese, in Europa e in Germania, resta Wolfgang Schäuble, un europeista che incarna il rigore tedesco, nella sua veste di ministro delle Finanze. Nessuno ha osato togliergli l’incarico, è stato riconfermato sia per la sua competenza, sia perché è una figura enigmatica che esprime, interpreta bene le incertezze, le contraddizioni, le impennate dell’Europa tedesca: è per una maggiore integrazione, ma quando si tratta di venire in aiuto a un paese in difficoltà, ad esempio la Grecia, di promuovere l’unione bancaria, o di creare un meccanismo di solidarietà, lui punta i piedi. È con lui che l’Europa avrà a che fare nei prossimi quattro anni. Ma anche Wolfgang Schäuble può cambiare, se la crisi si dirada.


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