Renzi vuole il sì alla Camera per avere più forza al tavolo del programma

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ROMA — Matteo Renzi non si ferma. Sa che lo stop per lui sarebbe duraturo. Non si vuole far imbrigliare, né intende arretrare. «La palude, no!», è il suo slogan. Soprattutto da quando ha capito che il gioco dei suoi avversari interni è quello di ingabbiarlo tra «i lavori parlamentari» e le «liturgie di partito».
Su questo secondo fronte, il segretario del Pd è preparato. Sa già cosa sarà e cosa potrà essere. Perciò ha proposto ad Andrea Orlando di prendere la presidenza dell’assemblea nazionale del Partito democratico. È un ministro, è vero, e ha anche altro da fare, ma per Renzi sarebbe una polizza di non poco conto. Soprattutto se Matteo Orfini, come pare, è disposto a entrare in segreteria. Equivarrebbe a dichiarare al partito che Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani, che spingono per la rottura, contano poco, o quasi nulla.
Ma in realtà è un altro il vero obiettivo del segretario del Partito democratico: non accettare i tempi che il presidente del Consiglio vorrebbe imporgli. Letta ha provato a forzare, una volta incassato l’accordo sulla riforma elettorale. Il premier pensava di risolvere la situazione con un rimpasto. Il sindaco di Firenze, però, non gli ha dato sponda. I due si sono sentiti per telefono, anche se entrambi negano ufficialmente questo contatto. Renzi, infatti, non vuole chiudere tutto adesso. E non gli interessa che il presidente del Consiglio voglia andare a Bruxelles al vertice europeo con un accordo di maggioranza sicuro in tasca. Prima, a suo avviso, è necessario percorrere delle tappe, ineludibili per lui. Lo ha spiegato ai fedelissimi, senza prenderla alla larga: «Io voglio portare le proposte per il patto di governo in direzione, prima di andare da Enrico». Non è ostruzionismo, dice lui. E non è nemmeno un modo per ostacolare il premier: «Figuriamoci, Letta mi deve ringraziare, perché sto facendo di tutto per dare un senso a questa legislatura, che non lo avrebbe se non ci fossero le riforme. Perciò mi aspetto un grazie». Che difficilmente arriverà, visto che il sindaco di Firenze sta cambiando il percorso immaginato dal presidente del Consiglio.
Già, perché non solo sta allontanando il traguardo del 29, quando Letta andrà a Bruxelles, ma sta facendo di più. Come ha spiegato ai fedelissimi: «Le proposte che dobbiamo mettere in campo non sono le mie, sono quelle del Partito democratico, non c’è solo il segretario del Pd, ma c’è tutto il partito, che deve decidere». Di più: i tempi vengono dilatati perché il sindaco di Firenze vuole «arrivare al tavolo delle trattative di governo con la legge elettorale». Con i suoi il sindaco è stato più che esplicito: «Sul programma di governo si tratta dopo che la legge elettorale nuova è stata votata alla Camera». Così, solo così, «noi partiamo con un altro peso al tavolo delle trattative». E ancora: in questo modo il Partito democratico avrà «un altro peso nel confronto».
E allora il ruolino di marcia di Letta, secondo il sindaco di Firenze, quale deve essere? Non certo quello di un rimpasto veloce, né di un Letta bis da fare «pronti e via». Come spiega il segretario del Pd ai suoi: «Capisco le aspirazioni di Enrico, ma il timing è quello che ho detto». Ossia, prima la direzione che deve discutere sui «Jobs act», poi il resto. Tradotto: prima di febbraio non firmo niente. Ri-tradotto: se fosse per Renzi fino a metà del prossimo mese il patto di governo non va firmato. Perché «per qualche poltrona io non cambio il mio punto di vista». Perché, il sindaco di Firenze non vuole farsi «imbrigliare» in un gioco che «non è il mio»: «La palude no, assolutamente no», quello è l’imperativo di Renzi e ogni sua mossa prossima ventura va decrittata con questa chiave di lettura. Ma siccome il segretario è pragmatico e realista non esclude un incontro a breve con il premier per discutere di tutto ciò. Forse anche oggi.
Maria Teresa Meli


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