Referendum di sangue

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Per le strade del Cairo si vedono solo mani­fe­sti che spin­gono a votare «sì» al refe­ren­dum costi­tu­zio­nale. È dif­fi­cile tro­vare poster di socia­li­sti rivo­lu­zio­nari, di isla­mi­sti mode­rati di Abul Fotuh e di 6 aprile che chie­dano di boc­ciare la Costi­tu­zione. Si con­ti­nua a votare anche oggi per il testo appro­vato da una Com­mis­sione non eletta e voluta dall’esercito dopo il colpo di stato del 3 luglio 2013. Forze di sicu­rezza sono state dislo­cate ovun­que, 360 mila tra sol­dati e poli­ziotti con­trol­lano le prin­ci­pali città. I mili­tari hanno dato l’ordine di «spa­rare» con­tro i mani­fe­stanti pro-Morsi che chie­dono di boi­cot­tare il voto nei pressi dei seggi. Il primo giorno di voto si è chiuso nel san­gue. Sono oltre dieci le vit­time nelle mani­fe­sta­zioni pro­mosse dagli isla­mi­sti in tutto il paese.

Ordi­gni sono esplosi nel gover­na­to­rato di Shar­qiya e all’interno della Com­mis­sione elet­to­rale di Minya. Scon­tri sono andati avanti per la gior­nata di ieri nei pressi dell’università Al Azhar al Cairo. Gas lacri­mo­geni sono stati lan­ciati con­tro i mani­fe­stanti a Zaga­zig e in alcuni vil­laggi del Delta del Nilo. Nella roc­ca­forte isla­mi­sta un soste­ni­tore dei Fra­telli musul­mani, Mah­moud Gomaa, è stato ucciso a Beni Suif. Altri quat­tro soste­ni­tori della Fra­tel­lanza hanno perso la vita men­tre par­te­ci­pa­vano ad una mani­fe­sta­zione nella città di Sohag. La tele­vi­sione di stato mostra lun­ghe code ai seggi, ma l’Alleanza per il soste­gno della legit­ti­mità che rag­gruppa gli isla­mi­sti pro Morsi e le gamaat al-islamyia hanno denun­ciato la scarsa par­te­ci­pa­zione al voto e nume­rosi epi­sodi di bro­gli del dis­solto Par­tito nazio­nale demo­cra­tico (che se la Costi­tu­zione dovesse essere appro­vata potreb­bero tor­nare a fare politica).

La cam­pa­gna per il «sì» ha pun­tato su pic­cole con­ces­sioni gene­rali nei diritti fon­da­men­tali di ugua­glianza tra uomo e donna e per la puni­zione del reato di tor­tura. Il solo vero passo avanti del testo sot­to­po­sto a refe­ren­dum riguarda il rife­ri­mento all’applicazione in Egitto dei Trat­tati inter­na­zio­nali in merito ai diritti umani, fino a qui rati­fi­cati. Negli altri casi, si tratta di arti­coli vaghi. «Non ci sono miglio­ra­menti sostan­ziali per­ché per sta­bi­lire un nuovo diritto è neces­sa­rio restrin­gere il più pos­si­ble i limiti impo­sti dalla legge», spiega Heba Morayef, coor­di­na­trice di Human Rights Watch al Cairo. La cri­tica prin­ci­pale al testo riguarda l’estensione dei poteri dell’esercito. Sono pre­vi­sti pro­cessi mili­tari con­tro i civili, che peg­gio­rano il testo costi­tu­zio­nale del 1954. L’articolo più con­tro­verso è il 234 che sta­bi­li­sce la nomina del mini­stro della Difesa per i pros­simi due man­dati da parte de Con­si­glio supremo delle Forze armate. Resta aperta l’approvazione del bilan­cio mili­tare, gli isla­mi­sti par­lano di conti segreti in merito alla sicu­rezza, impe­dendo qual­siasi con­trollo delle spese mili­tari. Un passo indie­tro è la legge anti-proteste che impe­di­sce l’organizzazione di mani­fe­sta­zioni in assenza di un’approvazione del mini­stero dell’Interno.

La sha­ria (legge isla­mica) è ancora fonte di diritto con il secondo arti­colo del testo ma è stato can­cel­lato l’articolo 219, voluto dalla Fra­tel­lanza, che ne esten­deva l’applicazione nel diritto ordi­na­rio. Il ten­ta­tivo della Com­mis­sione, inca­ri­cata di riscri­vere la Costi­tu­zione, è stato, da una parte, di ban­dire i par­titi basati sulla reli­gione, pre­ve­nendo la futura par­te­ci­pa­zione poli­tica del mag­giore par­tito di oppo­si­zione, Libertà e giu­sti­zia, brac­cio poli­tico dei Fra­telli musul­mani, dall’altra, di bilan­ciare i poteri pre­si­den­ziali e par­la­men­tari. Il pre­si­dente potrà scio­gliere il par­la­mento ricor­rendo ad un refe­ren­dum. Men­tre i due terzi del par­la­men­tari potranno chie­dere l’impichement del pre­si­dente dopo una con­sul­ta­zione popo­lare. In merito ai diritti dei lavo­ra­tori, il nuovo testo costi­tu­zio­nale non faci­li­terà la for­ma­zione di sin­da­cati indi­pen­denti, deman­dando la que­stione a dispo­si­zioni di legge. È pre­vi­sta una riforma delle voci di spesa pub­blica: il 3% del Pil sarà dedi­cato alla sanità, il 6% all’educazione e l’uno alla ricerca scien­ti­fica. «Si tratta di deci­sioni sca­denti, almeno il 15% del Pil dovrebbe essere dedi­cato alla spesa sani­ta­ria, secondo gli accordi presi in seno all’Unione afri­cana», spiega il sin­da­ca­li­sta Tarek Mokh­tar. Il voto sud­di­viso in due giorni evita per la prima volta dopo le rivolte del 2011 ele­zioni fram­men­tate e ope­ra­zioni di voto lun­ghe set­ti­mane e su base regio­nale, con la dif­fu­sione dei risul­tati par­ziali prima della chiu­sura dei seggi. Si stanno espri­mendo per il «sì» laici, libe­rali e nazio­na­li­sti, cri­stiani, giu­dici (che in massa hanno accet­tato di moni­to­rare il voto men­tre ave­vano boi­cot­tato il refe­ren­dum costi­tu­zio­nale degli isla­mi­sti) e poli­tici del vec­chio regime; men­tre la mag­gio­ranza degli isla­mi­sti, ad ecce­zione dei sala­fiti del par­tito el Nour, ha deciso di non par­te­ci­pare al voto.

 


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