Una poltrona per due che tiene nel limbo l’intera legislatura

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L’idea di prendere il posto del premier sta apparendo come un chiodo fisso: se non del leader dei Democratici, dei suoi seguaci più accesi. Ieri, Renzi ha spedito un messaggio che vuole essere rassicurante, ammettendo la convenienza di elezioni anticipate per sé ma non per l’Italia. L’incertezza sulle sue prossime mosse, tuttavia, continua a tenere la coalizione di governo in sospeso. Le due settimane che si è dato per vedere se continuare o «cambiare schema» sono un avvertimento minaccioso e insieme ambiguo.
Riflettono una sorta di «vorrei ma non posso», o di «potrei ma non voglio» nei confronti di Letta. Renzi lascia indovinare un’esigenza di prendere tempo per capire se la riforma elettorale con Silvio Berlusconi decolla davvero in Parlamento; e dunque se la spinta iniziale ricevuta con le primarie e le mosse abili e rapide di inizio 2014 può riprendere o rischia di indebolirsi. La sensazione è che il capo del governo non abbia intenzione di dimettersi per assecondare queste manovre, però sempre che davvero il capo del Pd stia pensando di traslocare a Palazzo Chigi senza legittimazione elettorale. La spinta di alcuni esponenti della sua cerchia è evidente, ma sembrano trasparenti anche le perplessità del segretario.
Giustamente, Renzi annusa l’insidia. Il fatto che Berlusconi abbia lasciato trapelare la disponibilità a entrare in un governo guidato da lui, per paradosso può metterlo in ulteriore imbarazzo; e infatti ha precisato che non farà mai un esecutivo insieme con il Cavaliere. D’altronde, una delle sue armi contro la minoranza del Pd e contro Letta è stata proprio quella della loro alleanza col centrodestra fino a dicembre del 2013. Si naviga così tra le ipotesi di un semplice rimpasto, improbabile; di una seconda coalizione guidata da Letta ma rinforzata da una dose massiccia di renziani; oppure di una rottura dagli esiti imprevedibili. L’unica cosa chiara è che la situazione non può trascinarsi a lungo così. Il dualismo segretario-premier sta logorando entrambi; e rafforza quasi di rimbalzo Berlusconi e il suo schieramento.
Il vicepremier Angelino Alfano, capo del Nuovo centrodestra, evoca «un bivio: o un governo Letta bis, o la staffetta con Renzi». Ma non vuole più puntellare un esecutivo guidato da un dirigente dei Democratici, al quale il Pd non fornisce un sostegno adeguato. Meno si capisce come andrà a finire, più aumenta il timore che Renzi possa «scartare» contro Palazzo Chigi per riacquistare smalto e immagine decisionista. Per la piega che sta prendendo lo scontro interno, però, il segretario dei Democratici dovrebbe presentare una mozione di sfiducia contro il governo presieduto da un compagno di partito; e dunque assumersi la responsabilità dell’apertura di una crisi.
È un limbo che non contribuisce all’immagine di un’Italia stabile; e che si prolunga anche dopo le parole pronunciate nei giorni scorsi da Giorgio Napolitano in appoggio alla stabilità garantita finora da Letta e dal suo esecutivo. Ed è anche la conseguenza inevitabile di un’ipotesi di maggioranza, quella delle «larghe intese», che deve fare i conti con il patto istituzionale Renzi-Berlusconi: un’intesa che non riguarda solo legge elettorale e svuotamento dei compiti del Senato, ma probabilmente va proiettata anche sulla successione, più o meno lontana, al Quirinale. Per questo, gli attacchi del vertice del Pd a Letta rinviano a una tensione latente con Napolitano. Lo scenario inconfessabile ma temuto è quello di un contrasto esplicito tra segretario del Pd e capo dello Stato.


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