Contratti e apprendistato Con il continuo tira e molla aziende senza certezze

Contratti e apprendistato Con il continuo tira e molla aziende senza certezze

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ROMA — La storia del decreto Poletti è tormentata fin dall’inizio. Il provvedimento fu approvato dal Consiglio dei ministri del 12 marzo. Ma finì in Gazzetta Ufficiale 8 giorni dopo, il 20. Nel comunicato del governo si spiegava che il decreto legge prevedeva l’aumento da 12 a 36 mesi della durata del contratto a termine libero, quello cioè per il quale le aziende non devono indicare la causale, il motivo per il quale lo fanno. Nel testo di entrata in Consiglio dei ministri non erano previsti limiti al numero di proroghe possibili per questo tipo di contratto. Immediatamente da sinistra, partiti e sindacati, si scagliarono contro la precarizzazione, facendo l’esempio di contratti settimanali, se non giornalieri, prorogabili all’infinito nell’arco dei 3 anni, tanto che qualche giorno dopo il governo precisò che nel testo finale del decreto era stato messo un limite alle proroghe: non più di 8. Il testo cancellava anche alcuni vincoli sull’apprendistato: l’obbligo di formazione anche fuori dall’azienda e di assumere parte degli apprendisti per prenderne altri.
La liberalizzazione dei contratti a termine oltre i 12 mesi e la sburocratizzazione dell’apprendistato vanno incontro alle richieste delle imprese. E sembrano sostenute dai dati. Non più dell’1,5% dei contratti a termine stipulati in un anno superano infatti i 12 mesi, segno che le aziende fanno ricorso quasi esclusivamente a quelli senza causale. Allungarne la durata fino a tre anni, dice il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, darà maggiori possibilità di essere assunti in pianta stabile, considerando che negli ultimi anni circa il 70% degli avviamenti al lavoro avviene col contratto a termine. Con l’apprendistato invece si realizza meno del 3% degli ingressi al lavoro. Anche qui, a sentire le aziende, per colpa dei troppi vincoli che scoraggiano questo tipo di contratto.
Il decreto Poletti ha cominciato il suo iter parlamentare nella commissione Lavoro della Camera, presieduta dall’ex ministro Cesare Damiano, dell’ala sinistra del Pd, contraria a Matteo Renzi, ala che egemonizza la stessa commissione. Non è stato difficile quindi per Damiano far passare modifiche importanti, con via libera, va detto, dello stesso governo, che ha fatto buon viso a cattivo gioco. Modifiche continue che lasciano nell’incertezza le aziende. Le proroghe possibili del contratto a termine senza causale sono scese da 8 a 5, con la specifica che il tetto vale come limite massimo complessivo nei 36 mesi, anche se vi dovessero essere più contratti distinti fatti alla stessa persona, mentre prima in teoria le 8 proroghe si potevano intendere per ogni singolo contratto. Inoltre il testo uscito dalla commissione prevede che nel caso in cui l’azienda superi il limite di legge del 20% di contratti a termine sul totale dei dipendenti, scatti la sanzione dell’assunzione a tempo indeterminato. Infine, si rafforza il diritto di precedenza nelle assunzioni per le donne con contratto a termine in maternità. Sull’apprendistato viene reintrodotto un vincolo, ma più morbido, stabilendo che le aziende con più di 30 dipendenti possono prendere altri apprendisti solo dopo aver assunto il 20% dei precedenti, e si stabilisce nuovamente che accanto alla formazione aziendale ci debba essere anche quella pubblica.
Queste modifiche sono osteggiate da Ncd, che chiede di tornare al testo originario. Ieri Poletti ha tentato una mediazione. Ha proposto di attenuare la sanzione sui contratti a termine oltre il 20% dei dipendenti (multa anziché obbligo di assunzione), di rendere facoltativa la formazione pubblica e di rafforzare il richiamo alla necessità di introdurre il contratto di inserimento a tutele crescenti (che lo stesso governo propone, ma nel disegno di legge delega che accompagna il decreto). Damiano, però, ha chiesto di aggiungervi anche la riduzione da 5 a 4 del tetto alle proroghe e l’accordo è saltato. È probabile che al Senato, dove il presidente della commissione Lavoro è Maurizio Sacconi, anche lui ex ministro ma di Ncd e dove il Pd non è così forte, il testo recepisca i cambiamenti suggeriti da Poletti ieri. E venga approvato con la fiducia per poi tornare a Montecitorio per l’ultimo voto, anche qui con la fiducia. Fiducie necessarie per farcela a convertire il decreto prima che, il 19 maggio, decada. E per evitare ulteriori modifiche che metterebbero in crisi la maggioranza.
Enrico Marro


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