Articolo 18, un caso nella maggioranza

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ROMA – La mossa era nell’aria, ma di fronte alla richiesta di «abolire l’articolo 18 entro agosto», rilanciata dal ministro dell’Interno Angelino Alfano, leader di Ncd, la maggioranza è in fermento e il Pd si divide tra chi frena e chi dialoga.
Dopo aver annunciato nei giorni scorsi alcune proposte per rilanciare l’economia, Alfano non demorde: «Sappiamo che in maggioranza ci sono idee diverse», ma questo governo ha una «straordinaria capacità riformatrice». Quindi Ncd chiede di arrivare a un’intesa sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori da portare al Consiglio dei ministri del 29 agosto convocato per approvare il decreto «Sblocca Italia». Ormai l’articolo è «un totem della sinistra che blocca le assunzioni mentre noi vogliamo favorirle», precisa Alfano che aggiunge: «La sede naturale» per una norma che modifichi l’articolo 18 «sarebbe la delega lavoro, in mano a Maurizio Sacconi, ma siccome abbiamo prima lo “Sblocca Italia”, speriamo di riuscire a convincere tutti i partner di coalizione di inserire lì il provvedimento». Il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi (Ncd), sottolinea: «È il segnale più importante per dire che il sistema italiano del lavoro è cambiato». Pensieri condivisi da Renato Brunetta (FI) che scrive su Twitter: «Ad Alfano e Renzi, su misure economiche e moratoria per 3 anni articolo 18 centrodestra unito. E il Pd?». Per Fabrizio Cicchitto (Ndc) «bisogna prendere il toro per le corna, mettendo in essere una serie di provvedimenti innovativi: da quello sull’articolo 18 alla spending review». La pensa diversamente Renata Polverini (FI): «Stupisce che ancora ci sia qualcuno che possa ritenere l’articolo 18 come un’inibizione alle assunzioni e un limite alla flessibilità».
Nelle file del Pd, mentre il premier Renzi non replica ad Alfano dopo avere detto in passato più volte che «l’articolo 18 non è la priorità e non gli si devono attribuire connotazioni ideologiche», il sottosegretario al Lavoro, Luigi Bobba (Pd), prende le distanze: «Il nuovo articolo 18, quello cambiato dalla legge Fornero del 2012, già funziona. Non si vede la ragione di fare un’altra modifica». Dopo che due giorni fa il ministro per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione Marianna Madia ha bocciato la proposta del leader Ncd, più dura è la posizione di Monica Gregori (Pd): «Da Alfano basta ricatti sull’articolo 18». Il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, invece, è aperto al dialogo: la questione lavoro «sarà affrontata con la delega che in questo momento è in discussione al Senato. In quest’ambito — assicura — affronteremo senza chiusure pregiudiziali le proposte che verranno messe in campo. Anticipare quella discussione a strumenti che non sono propri, credo sia sbagliato. Dentro la delega ci sono vari argomenti oggetto di riflessione. Lì ragioneremo senza tabù ideologici, ma anche senza la tentazione di piantare bandierine». Parole che in parte soddisfano gli alfaniani: «Bene Guerini secondo il quale — commenta Maurizio Sacconi (Ncd) — dell’articolo 18 si può e si deve parlare senza pregiudizi nel contesto della legge delega». Gaetano Quagliariello (Ncd) taglia corto: «Il chiarimento va fatto entro agosto». Non la pensa così Cesare Damiano (Pd): «Se per Alfano abolire l’articolo 18 sarebbe una cosa “straordinaria”, per noi si tratta invece di una banale, arcaica e insistente pretesa del centrodestra di togliere tutele ai lavoratori e di rendere più liberi i licenziamenti». Sul lavoro «è giusto superare assetti del secolo scorso, ma guai a ricominciare una nuova tempesta in un bicchier d’acqua sull’articolo 18», è il monito del deputato dem, Matteo Colaninno. La leader della Cgil, Susanna Camusso, si smarca: «Il tema oggi è come facciamo a difendere l’occupazione che abbiamo e a creare del lavoro. E di questo non discute nessuno».
Francesco Di Frischia



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