Il piano, i legami, gli 007: i punti oscuri
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L’indagine è in corso, i protagonisti principali sono morti, tanti ancora i punti oscuri. Il primo riguarda i legami internazionali. I terroristi hanno davvero un legame con Al Qaeda nella penisola arabica? I killer si sono presentati come membri del gruppo e la fazione ha benedetto l’operazione. Una prima rivendicazione ma che deve essere convalidata da una dichiarazione più precisa e diretta. La Cnn ieri ha sostenuto che uno dei fratelli Kouachi, durante un viaggio nello Yemen (2011), avrebbe condiviso per alcuni giorni la stanza con il nigeriano poi coinvolto nell’attentato con le mutande bomba. Nelle carte americane magari c’è qualcosa, sarà interessante vedere se l’Fbi interrogherà Umar Faruk Abdulmutallab su questo aspetto. Gli Usa hanno maggiori strumenti per definire l’eventuale scenario. Gli analisti ne propongono alcuni. Al Qaeda può aver preparato uno dei militanti e lo ha inviato in Francia come «mujahed in sonno», in attesa di un ordine per un attacco. Oppure lo ha solo addestrato lasciandogli libertà d’azione e si è limitata ad ispirarlo in modo remoto. O ancora, gli assassini hanno agito autonomamente ed hanno offerto il massacro in dote ai qaedisti. A questo proposito gli Stati Uniti non escludono che possano verificarsi nuovi attentati con il modus operandi visto a Parigi ed hanno lanciato un allarme generale. Il secondo elemento riguarda il piano. Gli attentatori lo avevano? Certamente volevano colpire Charlie Hebdo e lo hanno fatto in modo devastante sorprendendo i giornalisti durante la riunione (chi li ha informati?). Ma la fase successiva è apparsa caotica e la presa d’ostaggi è un ripiego quando ormai le via di fuga erano compromesse. Pensavano forse di non uscire vivi dall’attacco al giornale? Senza dimenticare gli errori commessi, dal documento di identità dimenticato sull’auto al giaccone con tracce di Dna. Amedi Coulibaly in un’intervista a una radio ha fornito un particolare: c’era un coordinamento con gli altri solo nella fase iniziale, loro hanno sparato nella redazione, io ho fatto fuoco sulla donna-poliziotto. Infine lo snodo. Sappiamo che i nomi dei tre erano negli archivi delle forze di sicurezza di molti Paesi. Non è chiaro perché li abbiano «persi». Said e Cherif hanno forse ingannato chi doveva sorvegliarli con un comportamento irreprensibile nonostante i viaggi nelle terre della jihad. Eppure l’antiterrorismo nazionale si sarebbe interessato a loro nell’estate del 2014 per poi passare la pratica ad un apparato locale. Una sottovalutazione pagata a caro prezzo.
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