Quel bambino nel trolley che cercava in Europa la sua seconda nascita

Quel bambino nel trolley che cercava in Europa la sua seconda nascita

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Cercavano droga, gli agenti dell’enclave spagnola di Ceuta, insospettiti dal nervosismo di una ragazza marocchina che trascinava alla frontiera un trolley riempito di qualcosa di pesante. Ma i raggi X del posto di controllo hanno rivelato l’impensabile: un bambino di otto anni, di origine ivoriana, raggomitolato in posizione fetale in quell’utero di dura plastica dotato di manico e rotelle. Fallito il tentativo, si è presentato alle autorità il padre, lui munito di regolari documenti.
La notizia è tutta qui, poche parole come fossero un minuscolo mattone da aggiungere alla Torre di Babele della follia umana. Una di quelle curiosità prive di un finale cruento che si dimenticano una frazione di secondo dopo averle lette, inabissandosi in quella zona grigia nella quale i comunicati delle agenzie convivono con le fantasie più oziose, i sogni, le leggende metropolitane. Ma dall’avventura è venuta fuori un’immagine così potente e rivelatrice da imporsi nell’infinito caleidoscopio quotidiano del web. Una volta tanto, non è esagerato il luogo comune: questo sì che è un simbolo dei nostri tempi.
È raro trovarsi di fronte a un vero simbolo, che è come il proverbiale quadrifoglio nascosto in un prato di allegorie e di emblemi: di immagini, vale a dire, dotate di un significato univoco e più o meno facilmente decifrabili. A differenza della maggior parte delle immagini, il simbolo è dotato di un eccesso di energia, che non si lascia esaurire dalla sua semplice decifrazione. Lo si potrebbe definire come un discorso che porta avanti un’idea e insieme il contrario di quell’idea: senza che una prevalga o annulli l’altra. Non a torto i razionalisti sono sempre infastiditi e spaventati dai simboli. Ma è pur vero che tutte le cose davvero importanti e decisive della vita umana contengono al loro interno queste coppie di contrari: paura e desiderio, arroganza e timidezza, libertà e necessità…
Non diversamente, il bambino nel trolley esprime disperazione e speranza, o se si preferisce: l’idea di un futuro possibile che germina nel terreno della più nera e irrimediabile mancanza di futuro.
Bisogna guardarla a lungo, quest’immagine, con la pazienza e l’attenzione con le quali ci disporremmo ad ascoltare una lezione importante. Parlando del trolley come di un utero artificiale, non volevo proporre solo un paragone che si impone abbastanza spontaneo all’osservatore. La cosa che più assomiglia al fermo immagine sul monitor della polizia di frontiera di Ceuta in effetti è una di quelle ecografie che si fanno a intervalli regolari durante una gravidanza, per controllare che tutto proceda bene. Come i feti dei nascituri, anche il bambino nel trolley sembra immerso in una specie di liquido amniotico, dove aspetta il suo momento. E quello che suo padre desiderava per lui non era nient’altro che una seconda nascita, che avesse il potere di correggere l’errore della prima. Perché non ha senso nascere dove non è possibile vivere.
Come il bambino del trolley tutti coloro che arrivano qui, o vengono respinti alle frontiere, o muoiono nel tentativo, tutti questi esseri umani, senza eccezione, cercano questa seconda nascita. Sono milioni, e probabilmente non c’è legge o forza umana capace di ostacolarne o impedirne l’arrivo. Perché se la volontà di un singolo è soggetta a tutte le incertezze e i cambiamenti, la volontà di una moltitudine è come un vento o una marea.
Presto ci accorgeremo che non aveva nemmeno senso nutrirne un’opinione, che si trattasse del nobile ideale dell’accoglienza o della turpe invocazione delle cannoniere. Che importanza ha ciò che si pensa dell’inevitabile? Guardate il bambino del trolley, che aspetta di correggere l’opera della natura con un po’ di cibo e di dignità, e rassegnatevi all’impotenza del pensiero, delle ideologie. Nessuno potrà impedirgli di rinascere. Potrei aggiungere che è giusto che sia così, ma questa è solo una mia opinione. È così e basta.
Emanuele Trevi

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