Fmi e Tesoro Usa all’attacco “La Germania investe poco così frena lo sviluppo di tutti”

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La Germania sta sbagliando quasi tutto. «Le manca il dinamismo; le proiezioni di crescita sono declinanti; non sta sfruttando l’opportunità offerta dai flussi di immigrati». L’elenco di errori è lungo. La sua politica economica ossessionata dagli attivi commerciali e di bilancio. L’atteggiamento verso la Grecia. Perfino la gestione delle sue banche e assicurazioni. Da Washington glielo mandano a dire sia il Fondo monetario internazionale sia il Dipartimento del Tesoro Usa. Non bastano i buoni rapporti personali fra Barack Obama e Christine Lagarde da una parte, Angela Merkel dall’altra. La Germania è su una rotta sbagliata e fa danni al resto dell’economia mondiale, il verdetto è chiaro.

A riaprire le ostilità era stato il mese scorso proprio il segretario al Tesoro di Obama, Jack Lew. Con un gesto pesante: Washington ha inserito la Germania nella lista nera delle nazioni le cui politiche economiche stanno frenando la crescita mondiale. Il Fmi da parte sua ha atteso che tornasse una missione dei suoi esperti inviata a tastare il polso dell’economia tedesca. Ed ecco le conclusioni, in un duro rapporto che fa l’elenco degli errori commessi a Berlino. In cima alle reprimende del Fondo c’è il cronico deficit di investimenti pubblici. La Germania, benché se lo possa permettere, lesina la spesa pubblica più produttiva e lungimirante: quella che aumenta l’efficienza complessiva del paese modernizzando le infrastrutture. E’ questa una delle ragioni per cui l’economia tedesca continua a crescere al di sotto del suo potenziale. Tra le riforme strutturali che il Fmi sollecita, ci sono tutte quelle che consentirebbero un’integrazione nel mercato del lavoro dei profughi in arrivo dal Medio Oriente: una risorsa nel lungo termine, perché possono bilanciare il declino demografico tedesco, ma occorrono le misure giuste perché i nuovi immigrati diventino rapidamente produttivi. Il Fmi ricorda che«una Germania più dinamica aiuterebbe la ripresa di tutta l’eurozona, ancora troppo fragile».

Sullo sfondo di queste critiche c’è lo scontro culturale che oppone Obama alla Merkel da ben sette anni. Il Fmi ormai ha preso ampiamente posizione a favore della linea americana. L’ossessione per i bilanci in ordine è l’altra faccia del mercantilismo tedesco: Berlino accumula una bilancia commerciale con un attivo record verso il resto del mondo, e sta costringendo altri paesi dell’eurozona a fare lo stesso. Ma questo frena la crescita, tanto più in una fase in cui i mercati di sbocco dei paesi emergenti non tirano come una volta. Il corollario del dogmatismo tedesco è l’austerity che condanna l’intera eurozona ad una crescita modestissima. L’economista Martin Wolf sul Financial Times riassume il bilancio dell’austerity in questo semplice confronto: la domanda complessiva in tutta l’eurozona è tuttora più bassa di due punti percentuali rispetto al livello pre-crisi (inizio 2008) mentre negli Stati Uniti è più alta del 10% da allora. Sempre Wolf a proposito dell’ossessione per i surplus usa un’immagine: l’intera eurozona si sta convertendo (forzatamente) «in una Germania più debole».

Le critiche dal Fmi non si fermano alla governance macroeconomica. Sotto accusa c’è anche il sistema bancario tedesco, e quel settore gemello che sono le assicurazioni vita, anch’esse un pilastro nella gestione del risparmio. Il Fmi s’inserisce nella polemica tra le autorità tedesche e la Banca centrale europea di Mario Draghi. I gestori del risparmio tedesco accusano i tassi negativi di Draghi di attentare alla loro stabilità. Il Fmi si schiera con Draghi, e respinge l’accusa al mittente: bacchetta il sistema finanziario tedesco per non essersi adeguato allo scenario della deflazione. C’è allarme anche a Washington, per la solidità di banche e assicurazioni tedesche, ma la colpa non viene scaricata sul “quantitative easing” della Bce.

La raffica di accuse alla Germania s’intreccia con un’altra partita che si è riaperta: la rinegoziazione del salvataggio greco. Anche l’interminabile crisi di Atene vede il Fondo monetario e il governo Merkel su posizioni contrapposte. Da tempo il Fmi sostiene che i sacrifici imposti alla Grecia non sono sostenibili. Non ne fa una questione di equità, ma di realismo: Atene non può farcela. Di qui una conclusione obbligata, per gli esperti di Washington bisogna in qualche forma “condonare” una parte del debito pubblico della Grecia. “Ristrutturare” è il termine tecnico. Un’accorciata ai capelli (dei creditori) è l’espressione più colorita. Anche su questo il governo Merkel continua a puntare i piedi. Vorrebbe aspettare le prossime elezioni. Non è detto che ci sia tanto tempo a disposizione, soprattutto per la Grecia.

 



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