Edoardo Zanchini: Realizzare un modello energetico pulito

Edoardo Zanchini: Realizzare un modello energetico pulito

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Intervista a Edoardo Zanchini, a cura di Monica Di Sisto e Alberto Zoratti, dal 14° Rapporto sui diritti globali

 

Per Edoardo Zanchini, vicepresidente nazionale di Legambiente, è cresciuta la consapevolezza dei cittadini sulla questione climatica e la spinta verso un cambiamento che punti alle energie pulite e rispetti l’ambiente, come ha dimostrato anche il referendum sulle trivellazioni, pur non avendo raggiunto il quorum. Viceversa, il governo, sembra più attento alle esigenze dell’industria petrolifera e si limita alle promesse, mentre pare scomparsa anche la Strategia Energetica Nazionale, che pure presenta seri limiti, e il decreto sulle energie rinnovabili mostra luci e ombre. Secondo il dirigente ecologista, occorre mettere al centro delle politiche europee la risposta al riscaldamento globale, in un’ottica che tenga assieme le questioni ambientali con quelle di giustizia economica e sociale.

 

Rapporto sui Diritti Globali: Nell’aprile 2016 l’Italia ha votato sulla questione trivellazioni, una campagna referendaria cresciuta in pochi mesi ha coinvolto centinaia di migliaia di persone e centinaia di organizzazioni e piccoli comitati. Una chiamata al voto che ha mostrato due tendenze che stanno sempre più caratterizzando il nostro Paese: il non raggiungimento del quorum, ma anche un grande attivismo e una forte partecipazione di molti cittadini e cittadine sul tema dell’ecologia. Come interpreti questo scenario?

 

Edoardo Zanchini: Nonostante il numero di persone considerevolmente alto che ha deciso di votare alla tornata referendaria (parliamo di quasi 30 milioni di persone), la valutazione è di grande preoccupazione rispetto alla sempre più ridotta partecipazione al voto, confermata nelle ultime elezioni amministrative e con numeri che fanno capire come vadano rivisti molti dei commenti letti dopo i risultati del referendum sulle trivelle. Ma al contempo quella campagna, nata e organizzata in poco tempo grazie alla generosità e alla collaborazione di moltissime organizzazioni e associazioni, è stata una straordinaria occasione per parlare del futuro dell’energia e del clima, e rafforzare un consenso fortissimo tra i cittadini per un cambiamento che punti sulle energie pulite. Quella campagna elettorale ha costretto Matteo Renzi a impegni e promesse, come quella che permetterebbe di raggiungere il 50% di produzione energetica da fonti rinnovabili entro la legislatura, impensabili prima per un Governo che fino a quel momento aveva parlato con un occhio all’industria petrolifera e approvato provvedimenti che riguardavano solo le fonti fossili.

 

RDG: Dal referendum a una visione più ampia sulle politiche di sviluppo del nostro Paese: la Strategia Energetica Nazionale (SEN) presentata in pompa magna nel 2013, dopo un accenno piuttosto retorico al summit ONU di Rio de Janeiro del 2012, sta mostrando tutte le sue criticità. Cosa possiamo dire di un documento che avrebbe dovuto rappresentare una visione moderna su un tema così strategico come è quello dell’energia?

EZ: Nessuno ha ancora capito se la Strategia Energetica Nazionale, approvata ai tempi del Governo Monti, sia mai entrata in vigore. Quello che possiamo dire con una certa sicurezza è che nasceva con un approccio già vecchio e datato (basterebbe pensare che era stata immaginata con una visione al 2020), e con forti limiti rispetto sia agli obiettivi che agli strumenti che proponeva per raggiungerli. La scelta migliore sarebbe semplicemente di lasciarla da parte e definire, come stanno facendo da tempo gli altri Paesi europei, una strategia per il clima che guardi a 360 gradi ai settori industriali per ridurre le emissioni e ripensare la nostra economia.

 

RDG: Anche nella COP21, la Conferenza delle Parti ONU sul cambiamento climatico di Parigi del dicembre 2015 si è molto discusso di superamento dei combustibili fossili verso un futuro realmente rinnovabile. Ma, al di là delle continue dichiarazioni, rimangono al centro delle politiche di sviluppo l’estrazione e lo sfruttamento di gas e petrolio. Sembra che, al di là delle dichiarazioni di intenti del Governo, non si riesca a uscire da questa diade. Ci sono stati segnali incoraggianti o molto è ancora da fare?

EZ: La questione è molto delicata, ma dobbiamo dire che in questi anni molte cose sono cambiate. Nel settore elettrico il petrolio è stato cancellato e siamo a circa il 40% della produzione da energie pulite e la prospettiva di arrivare al 100% da fonti rinnovabili è davvero possibile sia da un punto di vista tecnico che economico. Sarebbe un obiettivo importante non solo per riuscire a dare maggiore forza alla lotta al cambiamento climatico e molta più credibilità al nostro Paese sulle politiche di innovazione, ma anche per contribuire fortemente alla diminuzione della nostra bolletta energetica, con ritorni molto importanti anche per quanto riguarda il risanamento dei conti pubblici. Molto resta da fare nei trasporti, mentre vi sono ottime opportunità per ridurre i consumi da fonti fossili nell’industria e nel comparto residenziale (in particolare nella sostituzione dell’utilizzo di gas nelle utenze domestiche). Oggi le rinnovabili sono diventate competitive anche da un punto di vista dei costi e dell’efficienza, non vale più quindi la critica per cui le energie alternative sarebbero una scelta elitaria e sostanzialmente per pochi, per cui serve solo la volontà di spingere per una loro penetrazione in questi settori per fare l’interesse sia delle imprese che dell’ambiente.

 

RDG: Decreto rinnovabili: dopo le politiche contraddittorie che hanno portato alla crisi di interi comparti, basterebbe pensare al fotovoltaico e al fallimento di migliaia di piccole aziende del settore dopo i decreti Romani e Renzi negli anni passati, pare che nelle parole del Governo ci sia un nuovo punto di partenza per una vera e propria politica industriale sulle energie pulite. Ma è tutto oro quello che luccica?

EZ: Il Decreto sulle rinnovabili presenta luci e ombre. È stato importante dopo due anni di attesa approvarlo, per un settore dove hanno chiuso migliaia di imprese, ma non si può continuare con politiche di corto respiro – gli incentivi terminano a dicembre – e che favoriscono grandi centrali a biomasse invece della generazione distribuita. Oggi è possibile far ripartire la diffusione delle rinnovabili, dopo lo stop degli ultimi due anni, aprendo all’autoproduzione e alla distribuzione locale di energia da fonti rinnovabili che oggi sono pesantemente tassate e vietate. Perché impedire in un condominio o in un distretto industriale di produrre elettricità da fotovoltaico e distribuirla a chi sta intorno? Sono divieti anacronistici che fanno solo gli interessi dei grandi gruppi energetici da fonti fossili. Se si cancellano tali divieti le fonti rinnovabili in poco tempo sostituiranno gas e petrolio per la maggior parte degli usi negli edifici, nell’industria e aprendo possibilità inedite anche nei trasporti.

 

RDG: Commercio e giustizia sociale: negli ultimi tre anni si è diffusa una crescente consapevolezza dei cittadini sugli effetti delle politiche di liberalizzazione commerciale. Acronimi fino a poco tempo fa sconosciuti come TTIP (l’accordo tra Stati Uniti e Unione Europea in via di negoziato) o CETA (l’accordo appena siglato tra Canada ed Europa) stanno entrando nell’immaginario comune, mobilitando cittadine e cittadini. Legambiente è stata una delle realtà promotrici della Campagna Stop TTIP. Come si coniuga ambientalismo e giustizia economica e sociale?

EZ: L’emergenza climatica è l’orizzonte che tiene assieme questioni ambientali e di giustizia economica e sociale. Dobbiamo ripensare e costruire un modello energetico fuori dalle fonti fossili e individuare subito risorse per progetti che aiutino le popolazioni che già soffrono le conseguenze dei cambiamenti climatici e l’accoglienza dei migranti. È in questa prospettiva che l’Europa può ricostruire il proprio patto di identità con i cittadini e i popoli, con uno sguardo chiaramente rivolto al Mediterraneo. L’intreccio di guerre per il controllo del petrolio, di interessi economici che prevalgono sui diritti civili, di migrazioni da territori in cui non è più possibile vivere non lo si supera alzando muri o guardando i barconi pieni di persone affondare, ma costruendo una prospettiva di pace e giustizia economica, che oggi deve avere inevitabilmente al centro la risposta al riscaldamento globale.

 

RDG: Parigi nel dicembre 2015 è stata la capitale mondiale della lotta al cambiamento climatico. I Paesi membri della Convenzione Quadro sono riusciti a raggiungere un consenso su un testo ampio, il cosiddetto Accordo di Parigi. Un momento storico, ma che porta una mutazione profonda nel modo con cui si immagina la lotta il cambiamento climatico: dai vincoli di Kyoto all’approccio volontario con piani nazionali di mitigazione e adattamento. Che speranze ci sono che dal 2020 il nuovo Trattato porti effettivamente il cambiamento di cui si sente il bisogno?

EZ: Parigi è stata ed è un’importante occasione per tutti noi, per riuscire a modificare una deriva oggettivamente molto rischiosa per il futuro nostro e delle generazioni che verranno, ma il cambiamento ci sarà solo se saremo tutti capaci di continuare la mobilitazione nei confronti dei decisori nazionali, come di quelli internazionali e locali, per realizzare il cambiamento che la situazione descritta in tutte le analisi scientifiche sulla situazione del clima obbliga oggi a mettere in atto. L’accordo di Parigi segna un passaggio storico, per l’impegno di tutti i Paesi del mondo, ma i contenuti, gli strumenti e le risorse per raggiungere gli obiettivi previsti sono ancora tutti da scrivere. Per questo, in continuità con tutto quello che la società civile e le organizzazioni ambientaliste sono stati capaci di fare e organizzare nel recente passato, dovremo costruire mobilitazioni e appuntamenti di confronto e informazione diffusa, per rendere davvero vincolanti le scelte strategiche e poi creare le condizioni per cui si possa costruire ovunque nel mondo, e a partire proprio dai Paesi più poveri, un sistema economico che prescinda dalle fonti fossili, più equo e sostenibile.

 

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Edoardo Zanchini: è vicepresidente nazionale di Legambiente e responsabile Clima e Internazionale.

Architetto, ha conseguito il dottorato di ricerca e la laurea in architettura con lode all’Università di Roma La Sapienza. Ha insegnato nelle Università di Roma e Pescara (dove è stato ricercatore dal 2008 al 2012) e conseguito l’abilitazione come Professore associato in Pianificazione e progettazione urbanistica (2015). Autore di diversi saggi in materia di energia, territorio e sostenibilità.

Tra le sue recenti pubblicazioni: Il clima cambia le città. Strategie di adattamento e mitigazione nella pianificazione urbanistica (con F. Musco, FrancoAngeli. 2015); La sinistra e la città (con Roberto Della Seta, Donzelli, 2013); L’Italia oltre la crisi (con Duccio Bianchi, Edizioni Ambiente, 2013); Il consumo di suolo in Italia (con Duccio Bianchi, Edizioni Ambiente, 2011); Sterminati giganti? La modernità dell’eolico nel paesaggio italiano (Alinea, 2010). È curatore, insieme a Duccio Bianchi, del Rapporto annuale Ambiente Italia.

 



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