L’Italia in missione in Niger, l’export bellico e la guerra ai migranti

L’Italia in missione in Niger, l’export bellico e la guerra ai migranti

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Ha il marchio di uno zebù dalle eleganti corna ritorte e il motto ciceroniano Non nobis solum – sul sito del ministero della Difesa – la nuova missione “umanitaria” che il governo italiano ha avviato in Niger in gran segreto. “Umanitaria” per modo di dire, visto che riguarda unicamente il dispiegamento di soldati, con compiti essenzialmente di intelligence, e la prossima probabile costruzione di una base militare italiana nel Sahel, tanto caro alla Francia, almeno a star dietro alle indiscrezioni del sito Africa Intelligence.

La missione prevede un contingente militare di 470 effettivi, seguiti da mezzi e attrezzature pesanti, anche se per il momento i militari italiani dislocati sul suolo nigerino sono ancora solo un’ottantina.

L’accordo bilaterale Italia-Niger è entrato pienamente in funzione, dopo essere stato bloccato per tre mesi fino a settembre, per un imbarazzante «equivoco» con le autorità nigerine, probabile riflesso del fastidio francese alla presenza italiana in quell’area. Il costo iniziale della missione Misin è di 30 milioni di euro, stanziati per il 2018 e non ancora esauriti visto che i soldati sono dovuti rimanere fermi, quasi nascosti per tre mesi, ma i fondi richiesti potrebbero dilatarsi a macchia d’olio. Si tratta in effetti di un «avamposto».

Nel frattempo il trattato che fa da cornice alla missione non è neanche stato pubblicato in Gazzetta ufficiale. Il Parlamento non ne sa nulla: l’iter di ratifica non è neppure iniziato e anche se la firma risale al 2017, al governo precedente e alla ministra Roberta Pinotti, l’attuale esecutivo ne ha protetto finché è stato possibile la riservatezza. Il contenuto del testo è stato reso pubblico solo questo fine settimana grazie a un ricorso al Tar per accesso agli atti presentato da un collegio legale per conto di Asgi (Associazione di studi giuridici sullimmigrazione) e Cild (Coalizione italiana per le libertà e i diritti civili) in collaborazione con Rete Disarmo. Una volta letto, è risultato però generico.

«Nient’altro che un copia-incolla», secondo l’avvocato Salvatore Fachile del team legale, per il quale il vero contenuto dell’accordo è probabilmente scritto nelle due lettere che si sono scambiati i governi di Roma e Niamey e che, allegate al trattato, non sono ancora state rese pubbliche. Perciò Francesco Vignarca di Rete Disarmo, a nome anche di Asgi e Cild, chiede ora ai parlamentari che si attivino per renderle pubbliche.

Le attuali missioni italiane all’estero, compreso quest’ultima, prevedono uno stanziamento annuale di 997 milioni di euro ma quest’anno non c’è stata alcuna discussione parlamentare sul loro rifinanziamento, perso nel grande marasma che ha accompagnato la presentazione della Legge di bilancio 2019. In barba ai compiti di «indirizzo e controllo» che spettano al Parlamento anche molti altri accordi bilaterali siglati soprattutto con Paesi africani varati da Palazzo Chigi nelle ultime settimane e che – in modo neanche molto celato – si propongono di facilitare l’export di armi e tecnologie per la sicurezza.

Il Niger, uno dei Paesi più poveri al mondo, ha «una valenza strategica per l’Italia», come ha avuto modo di sottolineare il premier Giuseppe Conte nella sua recente visita di Stato in Niger e nel vicino Ciad appena un mese fa. Non ha riserve di oro o petrolio.

Il miele qui sono i migranti e tutto l’apparato che serve a sorvegliarne gli spostamenti – recentemente ha attivato anche il lontano Giappone a contribuire con 27 milioni di euro alla forza G5 Sahel –, costituito intorno a quello che i ricercatori indipendenti di State Watch chiamano «complesso securitario-industriale», indirizzato a facilitare «l’export di armamenti e tecnologie verso regimi autoritari».

Capitanato dagli interessi delle multinazionali armiere e della cybersecurity americane e non solo, interessa anche le lobby di tre Paesi europei: Germania, Francia e Italia. In ballo ci sono soprattutto i 7,9 miliardi di euro stanziati per il periodo 2014-2020 dall’Ue con vari fondi, tra cui 3,1 miliardi del fondo per l’Asilo, le migrazioni e l’integrazione, che possono essere incanalati nel finanziamento alla ricerca sull’intelligenza artificiale e all’implementazione di nuove tecnologie, dai droni ai parametri biometrici tramite Dna, agli algoritmi per il riconoscimento facciale.

Secondo il team Invisible Borders fanno perno su due agenzie europee: Frontex e Europol. Conviene alle industrie armiere, che drenano il 43% dei fondi europei, che la frontiera d’Europa si sposti là, ai confini del deserto e tanto più vicino ai concorrenti cinesi dell’hightech.

* Fonte: Rachele Gonnelli, IL MANIFESTO



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