Criminalizzare l’immigrazione serve al mercato della sicurezza

Criminalizzare l’immigrazione serve al mercato della sicurezza

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Rendere clandestina l’immigrazione ha un suo tornaconto. Spacciarla per emergenza e dichiararvi guerra, quel tornaconto lo fa lievitare in modo esponenziale. C’è un tornaconto politico, quello dei sovranisti che basano il loro consenso elettorale sulla distorsione del fenomeno migratorio e delle dinamiche complesse che gli sottendono. C’è poi un tornaconto economico, quello dell’industria della sicurezza che ha trasformato l’Europa in una trincea militarizzata: motovedette, droni, veicoli per la polizia di frontiera, telecamere di sorveglianza, sistemi biometrici.

UN GIRO D’AFFARI di 16 miliardi di euro con una previsione di crescita dell’8% all’anno. Insomma un mercato in piena espansione che aumenta al crescere delle tensioni ai confini. I dati sui flussi migratori ci raccontano però che il numero di migranti giunti in Ue nel 2016, uno degli anni record in termini di arrivi, corrisponde appena allo 0.25% della popolazione europea. Una percentuale troppo bassa per parlare di invasione. Per trarre dei profitti sempre più consistenti quindi è necessario alimentare l’idea emergenziale del fenomeno. In che modo?

LA PARTITA SI GIOCA su vari livelli. La ricerca, ad esempio. Nei progetti finanziati da programmi europei come Horizon 2020 le industrie del settore figurano a volte come partner. In tali progetti si inquadra l’immigrazione clandestina come una “minaccia alla sicurezza” che può essere affrontata solo con l’uso di adeguati sistemi di sorveglianza. Quelli forniti da loro, ça va sans dire. Società come Thales, Airbus, Leonardo (ex Finmeccanica) svolgono poi un’intensa attività di lobby a livello europeo direttamente e attraverso associazioni di categoria. Per dare un’idea: la European Organisation for Security e la Aerospace and Defense Industries Association of Europe, le due associazioni più attive su questo piano, hanno speso 600mila euro in attività di lobby nel solo 2015. L’obiettivo è fornire informazioni e possibilmente influenzare le politiche dell’Ue nel settore della difesa in generale e in quello dell’immigrazione, in particolare.
L’Europa si è mostrata particolarmente sensibile a questi richiami. Politicamente, l’Ue ne ha sposato la linea securitaria. Finanziariamente, ha destinato sempre più risorse alla gestione delle frontiere.

PER IL BILANCIO pluriennale dell’Ue (2021-2027) in discussione in questi mesi, la Commissione ha proposto di quadruplicare i finanziamenti per la gestione delle frontiere, portandoli da 5,6 miliardi per il periodo 2014-2020 a 21,3 miliardi per il periodo 2021-2027. Di questi 9,3 miliardi di euro andranno alla creazione di un nuovo Fondo per la gestione integrata delle frontiere (Integrated Border Managament Fund – IBMF), che raddoppia in sostanza il bilancio attuale del Fondo per le frontiere esterne e del Fondo per la sicurezza interna. Impietoso è anche il confronto tra la spesa destinata alla gestione delle frontiere e quella riservata alle politiche di asilo e dell’immigrazione, pari queste ultime a 11,3 miliardi di euro di cui la parte più consistente, il 40%, andrà a finanziare i rimpatri.

NEI PROGRAMMI della Commissione figura poi un ulteriore rafforzamento di Frontex. Il caso dell’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera è forse il più emblematico del nesso tra fenomeno migratorio e industria della sicurezza. In poco più di un decennio il bilancio di Frontex è cresciuto del 5233%, da 6 milioni di euro stanziati nel 2005 a 320 milioni di euro erogati nel 2018. Un aumento che si spiega con l’ampliamento dei poteri e soprattutto della capacità di spesa dell’agenzia che si traduce in un’eccezionale opportunità di guadagno per l’industria della sicurezza.

NONOSTANTE la pressione dei flussi migratori sia in calo, la Commissione europea ha proposto di sestuplicare il bilancio dell’agenzia, portandolo a 1,87 miliardi di euro entro il 2027. Il che consentirà di incrementare il corpo permanente da 1500 a 10000 unità e di ampliarne il raggio d’azione. Negli ultimi mesi, infatti, Frontex è impegnata a concludere una serie di accordi di cooperazione per la gestione delle frontiere con i Paesi dei Balcani. Accordi che prevedono il dispiegamento degli agenti Frontex lungo la rotta balcanica e lo svolgimento di operazioni congiunte con tali Paesi. E qui veniamo a un altro importante capitolo della politica di sicurezza europea, l’esternalizzazione delle frontiere. Ossia il tentativo dell’Europa di trasformare alcuni Paesi terzi, per lo più dei Balcani e africani, in nuove guardie di frontiera in grado di arrestare i migranti lungo il cammino verso l’Ue.

L’EVIDENZA mostra però come questa soluzione, lungi dall’arginare il fenomeno, renda più pericolose le rotte percorse dai profughi e più alto il numero dei morti. Spostare le frontiere esterne lontano da casa nostra fa sì che la tragedia umanitaria si consumi lontano dai riflettori mediatici al punto da renderla invisibile. Esternalizzare le frontiere poi comporta un’ulteriore crescita del mercato della sicurezza. Molti Paesi non europei specialmente africani ricevono donazioni e finanziamenti per l’acquisto di attrezzature e dispositivi di sicurezza che aumentano le capacità di sorveglianza delle frontiere. Anche in questo caso l’Europa ha fatto dell’immigrazione il cardine delle politiche di sviluppo verso tali Paesi.

INSOMMA, quando li aiutiamo a casa loro è principalmente per tenere fuori i migranti da casa nostra e per aumentare i profitti dell’industria europea della sicurezza. Una politica di sapore coloniale che riporta la Storia indietro di secoli.

* Fonte: Alessandra Briganti, IL MANIFESTO



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