Svizzera. Sciopero globale femminista rompe il muro della pace sociale

Svizzera. Sciopero globale femminista rompe il muro della pace sociale

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Sciopero dal lavoro remunerato, dal lavoro domestico, da quello di cura, dalla scuola e dal consumo. Alle 15.24 di ieri, orario a partire dal quale le donne svizzere lavorano gratuitamente rispetto agli uomini, le donne sono state invitate a lasciare il proprio lavoro e a unirsi allo «sciopero femminista e delle donne» organizzato dal coordinamento nazionale dei collettivi in una data storica per la Svizzera.

IL 14 GIUGNO 1981 la costituzione federale ha riconosciuto la parità tra uomini e donne, una legge entrata in vigore solo nel 1996. Dieci anni dopo, nello stesso giorno, 500 mila donne diedero vita a una manifestazione memorabile a Zurigo in un paese dove allora vivevano 4 milioni di persone. Allora denunciarono la persistenza delle disuguaglianze in termini di salari e sicurezza sociale in un paese che ha registrato alcuni avanzamenti, come il congedo di maternità per 14 settimane o il diritto all’aborto depenalizzato nel 2002, ma che resta diseguale sia dal punto di vista salariale (le donne guadagnano il 19,6% in meno rispetto agli uomini nel settore privato e il 16,7% meno in quello pubblico), sia da quello della partecipazione sociale: il 28,9% nel 2019 (14,6% nel 1991). Nel settore economico, la percentuale di dirigenti tra le donne è il 36% (29% nel 1996).

NELLA NUOVA STAGIONE del femminismo globale inaugurato in Argentina nel 2015 dal movimento «Ni Una Menos» e diffuso anche in Italia con le potenti manifestazioni di Non Una di Meno, la piattaforma politica del movimento svizzero approvata dall’assemblea nazionale del 10 marzo scorso ha visto ieri la partecipazione di collettivi di 18 città e regioni (da Basilea al Ticino) anche di sette sindacati (dall’Unia all’Union syndicale suisse) che hanno invitato le iscritte a «trovare ciascuna il suo modo di azione e di espressione» nella giornata di sciopero con manifestazioni, picnic, volantinaggi e concerti a Losanna, Zurigo, Berna o Ginevra.

IL MANIFESTO composto da 17 punti è stato diffuso su Internet e sui social network e rivendica anche uno «statuto» e una «legislazione che proteggano chi tra di noi arriva da altri paesi per occuparsi dei bambini, dei malati e degli anziani permettendo alle altre donne, e ai loro compagni, di fare carriera». «Noi vogliamo la libertà di scelta sulla sessualità e l’identità di genere – si legge nel manifesto – Esigiamo che i nostri corpi e le nostre vite siano rispettati e rifiutiamo la violenza sessista e la Lgtbqi-fobia». Il movimento chiede anche «misure di protezione per le migranti che nei loro paesi di origine, e in Svizzera, hanno subito e subiscono violenze psicologiche, fisiche e sessuali». La piattaforma denuncia inoltre il patriarcato, il razzismo e il capitalismo e rivendica la riduzione del tempo di lavoro a parità di salario, un salario minimo, il riconoscimento e la condivisione del lavoro domestico, il congedo di maternità, parentale e di maternità per bambini o parenti, oltre che i servizi pubblici gratuiti e la trasformazione delle scuole e delle università in «luoghi di emancipazione e di educazione allo spirito critico e all’uguaglianza».

LO SCIOPERO HA MOSTRATO un’altra immagine della Svizzera percepita come un paese prospero dove regna la pace sociale. In Svizzera gli uomini hanno detto «sì» al voto e alla eleggibilità delle donne solo nel 1971 e ancora oggi non è prevista in otto cantoni. Lo sciopero ha permesso di parlare invece di disuguaglianze salariali, discriminazione, sessismo, violenze sulle donne.

LO SCIOPERO è considerato un simbolo forte perché è legale solo in determinate condizioni. Anche se in alcuni cantoni, città e università è stato autorizzato, portando in piazza decine di migliaia di persone, in altri le donne hanno dovuto lavorare. In questi casi è stato chiesto di dimostrare la loro solidarietà indossando il viola (il colore della mobilitazione) e di unirsi, alla fine della giornata, alle manifestazioni. Sono stati inoltre organizzati asili nido autogestiti per permettere la partecipazione alle madri. Alcune amministrazioni si sono mostrare sensibili e, nel caso di quella di Ginevra, la città ha pagato la giornata di sciopero ai e alle dipendenti che hanno aderito alla mobilitazione, il cantone no.

NEI GIORNI PRECEDENTI allo sciopero, un sondaggio Tamedia realizzato online ha attestato l’esistenza di un consenso diffuso sulle rivendicazioni del movimento. Il 63,5% del campione era favorevole, il 70% delle donne e il 57% degli uomini. Un segnale è stato anche quello inviato dell’Ups, la confindustria svizzera, per i quali lo sciopero è «illegale». Quello che è illegale – ha risposto Anne Fritz, coordinatrice della mobilitazione per l’Union syndicale suisse – è la discriminazione salariale o le molestie sessuali sul lavoro».

* Fonte: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO



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